I palpiti del Cuore del Maestro

Il 15 maggio 1956, Papa Pio XII firma la grande enciclica sulla devozione al Sacro Cuore di Gesù, Haurietis Aquas, di cui proponiamo un ampio stralcio nel mese dedicato proprio a questa devozione. L’intenzione del Papa è quella – come egli stesso dichiara – di rispondere a quanti «nutrono ancora dei pregiudizi a riguardo [del culto al Sacro Cuore] e giungono persino a ritenerlo meno rispondente, per non dire dannoso, alle necessità spirituali più urgenti della Chiesa e dell’umanità nell’ora presente». Per Pio XII, al contrario, «il culto da tributarsi al Cuore Sacratissimo di Gesù è degno di essere stimato come la professione pratica di tutto il Cristianesimo»: si tratta, in sostanza, del «contenuto di ogni vera spiritualità e devozione cristiana» – come commenterà Benedetto XVI, nella lettera al Preposito Generale della Compagnia di Gesù nel 50esimo anniversario dell’enciclica. E a più di mezzo secolo dalla lettera di Papa Pacelli, le sue parole restano sempre attuali e, come spesso accade con la voce di Pio XII, pare quasi di cogliervi un’eco profetica: «Dinanzi allo spettacolo di tanti mali, che oggi, più che nel passato, travagliano individui, famiglie, nazioni e il mondo intero, dove mai Venerabili Fratelli, cercheremo il rimedio? Si potrà forse trovare una devozione più eccellente del culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, più conforme all’indole propria della religione cattolica, più idonea a soddisfare le odierne necessità spirituali della Chiesa e del genere umano?».

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  Venerabili Fratelli, al fine di cogliere più abbondanti frutti da queste nostre tanto consolanti riflessioni, indugiamo alquanto nella contemplazione dell’intima partecipazione avuta dal Cuore del Salvatore nostro Gesù Cristo alla sua vita affettiva umana e divina, durante il periodo della sua vita terrena, e della partecipazione che Esso ha al presente ed avrà per tutta l’eternità. È alle pagine del Vangelo che noi domanderemo principalmente la luce per inoltrarci nel santuario di questo Cuore divino, dove potremo ammirare con l’Apostolo delle genti: «immensa ricchezza della grazia [di Dio], nella benignità verso di noi in Cristo Gesù».
Palpita d’amore il Cuore adorabile di Gesù Cristo, all’unisono con il suo amore umano e divino, allorché, come ci rivela l’Apostolo, non appena la Vergine Maria ha pronunziato il suo magnanimo «Fiat», il Verbo di Dio, «entrando nel mondo, dice: “Tu non hai voluto sacrificio né offerta, ma mi hai preparato un corpo: olocausto anche per il peccato tu non gradisti: allora dissi: — Ecco io vengo — (giacché di me si parla all’inizio del libro) — per compiere, o Dio, la tua volontà”… E in questa volontà noi siamo santificati per l’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre».
Palpitava altresì d’amore il Cuore del Salvatore, sempre in perfetta armonia con gli affetti della sua volontà umana e con il suo amore divino, quando Egli intesseva celestiali colloqui con la sua dolcissima Madre, nella casetta di Nazaret, e col suo padre putativo Giuseppe, cui obbediva prestandosi come fedele collaboratore nel faticoso mestiere del falegname.
Parimenti palpitava d’amore il Cuore di Cristo, ancora in pieno accordo col suo duplice amore spirituale, nelle continue sue peregrinazioni apostoliche; nel compiere gli innumerevoli prodigi d’onnipotenza, con i quali o risuscitava i morti, o ridonava la salute ad ogni sorta di infermi; nel sopportare fatiche, il sudore, la fame, la sete; nelle lunghe veglie notturne trascorse in preghiera al cospetto del celeste suo Padre; e, infine, nel pronunziare i discorsi, e nel proporre e spiegare le parabole, specialmente quelle che più ci parlano della sua misericordia, come la parabola della dramma perduta, della pecorella smarrita e del figliuol prodigo. E veramente, anche attraverso le parole di Dio, come osserva San Gregorio Magno, si è manifestato il Cuore di Dio: «Intuisci il Cuore di Dio nelle parole di Dio, affinché più ardentemente esperimenti l’attrattiva dei beni eterni».
Palpitava ancor più d’amore il Cuore di Gesù Cristo, quando dalle di Lui labbra uscivano accenti ispirati ad ardentissimo amore. Così, ad esempio, quando dinanzi allo spettacolo di turbe stanche ed affamate, esclamava: «Ho compassione di questo popolo»; e, nel rimirare la prediletta città di Gerusalemme votata all’estrema rovina a causa della propria ostinazione, le rivolgeva questo accorato rimprovero: «Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati, quante volte io pure volli adunare i tuoi figliuoli come la gallina raduna i suoi pulcini sotto le ali, e tu non hai voluto!». Palpitava ancora di amore e di santo sdegno il suo Cuore nel veder il sacrilego commercio che si faceva nel tempio, ond’è che rivolse ai profanatori queste severe parole: «Sta scritto: “La mia casa sarà chiamata casa d’orazione”, e voi l’avete ridotta una spelonca di ladri».
Ma particolarmente di amore e di timore palpitò il Cuore di Gesù nella imminenza dell’ora della Passione, allorché, provando naturale ripugnanza dinanzi al dolore e alla morte ormai incombenti, esclamò: « Padre mio: se è possibile passi da me questo calice! »; palpitò poi di amore e di intensa afflizione quando, al bacio del traditore, Egli oppose quelle sublimi parole, che suonarono come un ultimo invito rivolto dal misericordiosissimo suo Cuore all’amico, che con animo empio, fedifrago e sommamente ostinato si accingeva a consegnarlo nelle mani dei carnefici: «Amico, a che sei venuto? Con un bacio tradisci il Figliuol dell’uomo? »; palpiti invece di tenero amore e di profonda commiserazione furono quelli che commossero il Cuore del Salvatore, allorché alle pie donne, che ne compiangevano l’immeritata condanna al tremendo supplizio della croce, diresse queste parole: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figliuoli… Perché, se si tratta così il legno verde, che ne sarà del secco?».
Ma è soprattutto sulla croce che il Divin Redentore sente il suo Cuore, divenuto quasi torrente impetuoso, ridondare dei sentimenti più vari; cioè di amore ardentissimo, di angoscia, di compassione, di acceso desiderio, di quiete serena, come ci manifestano apertamente le seguenti sue memorande parole: «Padre, perdona loro, perché non sanno quel che fanno»; «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»; «Ti dico in verità: oggi sarai meco in paradiso»; «Ho sete»; «Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio».
E chi potrebbe degnamente descrivere i palpiti del Cuore divino del Salvatore, indizi certi del suo infinito amore, nei momenti in cui Egli offriva all’umanità i suoi doni più preziosi: Se stesso nel Sacramento dell’Eucaristia, la sua Santissima Madre e il Sacerdozio?
Ancor prima di mangiare l’Ultima Cena con i suoi discepoli, al solo pensiero dell’istituzione del Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, la cui effusione avrebbe sancito la Nuova Alleanza, il Cuore di Gesù aveva avuto fremiti di intensa commozione, da Lui rivelati agli Apostoli con queste parole: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima di patire »; ma la sua commozione dovette raggiungere il colmo, allorché «prese del pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Questo è il mio corpo, il quale è dato a voi; fate questo in memoria di me ». E così fece col calice, dopo aver cenato. dicendo: «Questo calice è il nuovo patto nel sangue mio, che sarà sparso per voi».
Si può quindi a buon diritto affermare che la divina Eucaristia, sia come Sacramento che come Sacrificio, di cui Egli stesso è dispensatore e immolatore mediante i suoi Ministri «da dove sorge il sole fin dove tramonta», come pure il Sacerdozio, sono doni palesi del Cuore Sacratissimo di Gesù.
Ma anche Maria, l’alma Madre di Dio e Madre nostra amantissima, è un dono preziosissimo del Cuore Sacratissimo di Gesù. Era giusto, infatti, che Colei, che era stata la Genitrice del Redentore nostro secondo la carne, ed a Lui era stata associata nell’opera di rigenerazione dei figli di Eva alla vita della grazia, fosse da Gesù stesso proclamata Madre spirituale dell’intera umanità.
Non contento del dono incruento di sé, sotto le specie del pane e del vino, il Salvatore nostro Gesù Cristo vi volle aggiungere, come suprema testimonianza della sua profonda, infinita dilezione, il Sacrificio cruento della Croce. Così facendo, Egli dava l’esempio di quella sublime carità, che aveva indicato ai suoi discepoli come meta finale dell’amore con queste parole: «Nessuno ha un amore più grande di questo, di uno che dia la vita per i suoi amici ». Pertanto, l’amore di Gesù Cristo Figlio di Dio svela nel Sacrificio del Golgota, e nel modo più eloquente, l’amore stesso di Dio: «Da questo abbiamo conosciuto la carità di Dio, perché Egli ha dato la sua vita per noi, e così noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli». E in realtà, il nostro divin Redentore è stato confitto al legno della Croce più dalla veemenza interiore del suo amore che dalla brutale violenza esterna dei suoi carnefici; e il suo volontario olocausto è il dono supremo che il suo Cuore ha fatto ad ogni singolo uomo, secondo la incisiva sentenza dell’Apostolo: «Il Figlio di Dio… mi ha amato e ha dato se stesso per me».
Dopo che il Salvatore nostro ascese al cielo e si assise alla destra del Padre nello splendore della sua umanità glorificata, non ha cessato di amare la Chiesa, sua sposa, anche con quell’ardentissimo amore, che palpita nel suo Cuore. Egli, infatti, ascese al cielo recando nelle ferite delle mani, dei piedi e del costato i trofei luminosi della sua triplice vittoria: sul demonio, sul peccato e sulla morte; e recando altresì nel suo Cuore, come riposti in un preziosissimo scrigno, quegli immensi tesori di meriti, frutti del suo triplice trionfo, che adesso dispensa in larga copia al genere umano redento.

Qui il testo integrale dell’Enciclica.