PIO XII SUL GIUBILEO

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PAROLE PER LA PROMULGAZIONE DELL’ANNO SANTO 1950

Solennità dell’Ascensione di N.S.G.C. – Giovedì, 26 maggio 1949

IMG_1708Siano rese umili grazie alla Provvidenza divina, la quale, dopo le formidabili vicende, che hanno sconvolto la terra durante il secondo conflitto mondiale e gli anni del dopoguerra, ha concesso alla umanità un qualche miglioramento delle condizioni generali, tale da rendere a Noi possibile di procedere, secondo l’antica consuetudine della Sede Apostolica, nella festa dell’Ascensione del Signor Nostro Gesù Cristo, alla solenne promulgazione della Bolla, che indice l’Anno Santo.

Se nondimeno i peccati degli uomini impediscono di entrare nell’imminente Anno giubilare in uno stato di tranquillità definitiva, universale, scevra di ogni minacciosa incertezza, possano le preghiere e le penitenze, con le quali i fedeli, a compimento dei patimenti di Cristo (cfr. Col. 1, 24), daranno soddisfazione alla giustizia divina, contribuire ad ottenere al genere umano quella vera concordia dei cuori e quella genuina pace, che solo Dio può donare.

La onnipotente benedizione, che il Signore, sul punto di sollevarsi verso il cielo, alzate le mani, impartì agli Apostoli (Luc. 24, 50), e nella quale erano inclusi i cristiani di tutti i tempi e di tutti i luoghi, si effonda in modo speciale sull’Anno Santo 1950, per farne, col materno ausilio di Maria Regina del mondo, un anno di accresciuta fede, di sovrabbondante grazia che tolga ogni colpa e peccato, di perdono e di amore, che, tutti gli uomini unendo fra loro e con Dio, li conduca a riprendere con maggior ardore il cammino verso un avvenire di santità e di pace!

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DISCORSO AI RAPPRESENTANTI DELLE
ARCICONFRATERNITE E CONFRATERNITE DELL’URBE
«Custodi della Porta Santa»

Vigilia di Natale 1949

Secondo un’antica consuetudine, affidiamo a voi, diletti figli, preposti alle Arciconfraternite e Confraternite dell ‘Urbe, la custodia delle Porte Sante durante l’Anno del Giubileo testè iniziato.

Voi avrete così la sorte di essere testimoni immediati di uno di quei privilegiati tempi di grazie, in cui la Città eterna e l’universo cattolico si trovano uniti nel bacio fraterno della pace di Cristo.

Attraverso le Porte, di cui sarete i custodi, voi vedrete passare in onde non interrotte, il fiume d’innumerevoli fedeli. Quanti altri, nella impossibilità di soddisfare la loro ardente brama di pellegrinare anch’essi verso questi luoghi sacri, pensano con santa invidia a quelli che come voi, si avvicenderanno nel mistero di servire «negli atri del Signore» (Ps. 83, 3).

IMG_1710Mostratevi degni di un così nobile ufficio; degni in primo luogo dinanzi a Dio, degni poi anche dinanzi ai vostri fratelli nella fede, che da tutte le parti del mondo affluiranno verso Roma, verso il cuore della Cristianità.

Abbiate sempre presente al vostro spirito che, destinati alla guardia della Porta Santa di questa Patriarcale Basilica Vaticana, voi presterete servizio presso il luogo della tomba gloriosa del Principe degli Apostoli, a cui Cristo ha dato le chiavi dell’altra Porta celeste, sulla soglia della vostra eterna salute.

Le valve di bronzo, che abbiamo testè benedette, lodano con accento commovente le magnificenze della misericordia di Colui, che è venuto a cercare ciò che si era perduto (cfr. Matth. 18, II). La misericordia del Signore non si è stancata e il suo braccio non è divenuto troppo corto per salvare (cfr. Is. 59, 1). Nessuno è escluso dalle sue promesse, nè dalla soavità delle sue consolazioni: «Bonus est Dominus … animae quaerenti illum» (Thr. 5, 25).

Adempite dunque l’ufficio commessovi con un tal sentimento, che il vostro cuore si apra e si lasci inondare dal torrente delle grazie della misericordia divina. Siate non soltanto vigilanti guardiani delle Porte Sante, ma anche fedeli custodi di quelle delle anime vostre: «Qui custodit mandatum, custodit animam suam» (Prov. 19, 16).

Con questo augurio sulle labbra e con questa fiducia nel cuore, v’impartiamo, diletti figli, in auspicio dei più abbondanti favori celesti, la Nostra paterna Apostolica Benedizione.

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DISCORSO AI PARROCI E AI QUARESIMALISTI DI ROMA

2 marzo 1950

IMG_1709L’Urbe e il mondo stanno sotto il segno del Gran Giubileo. Questo Giubileo significa forza e grazia per i singoli, per la Chiesa e per la umanità. Anno di intimo raccoglimento alla Luce delle eterne verità. Anno, per molti, di riconquistata pace fra cielo e terra, fra Dio e l’uomo. Anno di approfondimento religioso per tutti coloro, a cui le esigenze e gli allettamenti del mondo hanno turbato o annebbiato lo sguardo verso l’unum necessarium.

Anno di vivificante manifestazione della Communio Sanctorum, della comunanza di grazie e di amore, fondata in Cristo, fra la Chiesa militante, purgante e trionfante, formando il tesoro inesauribile della Chiesa che si offre largamente a quanti ad esso si approssimano con fame e sete di giustizia.

Anno di rafforzamento e d’incremento della unità cattolica grazie al contatto personale, sensibile e tangibile del Capo visibile della Chiesa coi fedeli, i quali da ogni parte — per numero e per distanze geografiche incomparabilmente più che in passato — accorrono a Roma, alla Sede di Pietro.

In un tale Anno poter salire sui pulpiti della Eterna Città, affine di rendere le anime, mediante il rigore della penitenza quaresimale, mature per il giubilante Alleluia di Pasqua e la effusione di grazie della Pentecoste, è una missione che deve riempire ogni cuore apostolico di indicibile gioia, di fervoroso zelo, di ardente amore, pronto ad ogni sacrificio.

Di indicibile gioia:

Se per un peccatore convertito, secondo la divina parola del Redentore, si fa più festa in cielo che per novantanove giusti che di penitenza non hanno bisogno (cfr. Luc. 15, 7), come potrebbe il vostro cuore non fremere di riconoscenza e di beatitudine al pensiero che la vostra parola, illuminata dallo spirito di Dio e fecondata dalla grazia del Signore, potrà divenire per molti vostri fratelli e sorelle impulso verso quel ritorno, che è uno dei grandi scopi dell’Anno Santo?

Seminare il buon seme di Cristo fra raffiche di vento, in mezzo alle agitazioni e alla dissipazione delle folle, in un terreno disseccato da tante cure puramente temporali, ingombrato dalle spire delle passioni, delle cupidigie e delle rivalità, è ben duro lavoro, che, pur senza essere sterile di consolazioni e di gioie, riserva anche all’industrioso seminatore delusioni e amarezze.

IMG_1711Per uscire da questo stato di fatto, dalle esigenze che esso pone, dalle miserie che esso produce, vi è una sola via, il rifugiarsi in quella letizia della propria vocazione, che scaturisce da fede profonda e di essa incessantemente si alimenta, e che giorno per giorno, ora per ora, fa conoscere e sperimentare al sacerdote la grandezza e la felicità della sua missione, specialmente quando la mole dei suoi doveri cominciasse a sgomentarlo. Semper autem gaudentes: con queste parole di S. Paolo sulle vostre labbra e nei vostri cuori salite sui pulpiti della Città Eterna nel gaudio dell’Anno Santo. E questa letizia nutrita da motivi soprannaturali e il lavoro apostolico da essa ispirato e infiammato riporterà sul suolo romano e nei cuori romani vittorie, di cui voi e Noi dinanzi a Dio e agli occhi della Cristianità potremo andare santamente alteri.

Di fervoroso zelo:

Essere nella cura delle anime e sui pulpiti delle grandi città significa — oggi più che mai — trovarsi all’avanguardia nella milizia di Cristo. Significa essere fra quelli, sui quali, più che su altri, grava il pondus diei et aestus; fra quelli, al cui spirito soprannaturale, alla cui provata esperienza, alla cui incondizionata fedeltà e dedizione è più che ad altri, affidata la sorte della Chiesa e del gregge di Cristo.

Sul suolo romano si compie dinanzi allo sguardo del mondo intiero un formidabile incontro fra gli assertori e i negatori della fede cristiana. Questo suolo, che vide già la lotta fra il vecchio Cesarismo e il giovane Cristianesimo, è oggi di nuovo divenuto arena spirituale, ove sono in contesa non solo i più alti beni della vita cristiana, ma anche i presupposti fondamentali della stessa dignità umana.

IMG_1712Quando dunque voi vi trovate sul pulpito dinanzi ai vostri ascoltatori romani, parlate loro nello spirito del primo Papa, empitevi e penetratevi dell’inestinguibile zelo per il bene delle anime, che rese vittoriosa la missione di lui, contro tutte le umane previsioni. Fate che coloro, i quali vi ascoltano, sentano e sperimentino che questo spirito e questo zelo di Pietro ha anche oggi fra i ministri del santuario e gli annunziatori del Vangelo una folta schiera di seguaci a tutto pronti ; e siate persuasi che il popolo della Nostra diocesi romana vi corrisponderà con la stessa fedeltà e che anche molti di coloro, i quali erano già caduti vittime delle seduzioni dei falsi profeti, troveranno la via del ritorno.

Di ardente e generoso amore:

Nessun terremoto, nessuna carestia, nessuna epidemia, nessuna calamità originata dalle forze della natura, può paragonarsi all’inimmaginabile cumulo di sofferenze, che l’uomo, chiuso all’amore, dominato dall’odio, apporta ai suoi simili.

Colui, che come apostolo del Vangelo, come annunziatore delle verità eterne e della buona novella, si trova di fronte al mondo, non può e non deve operare che in nome dell’amore. Vi possono essere predicatori, a cui manca il dono della facondia. Un apostolato senza facondia è possibile. Un apostolato senza amore è una contraddizione in termini. Abbiate perciò sempre dinanzi ai vostri occhi la sentenza di un grande Romano e di un grande Papa: «Qui charitatem erga alterum non habet, praedicationis officium suscipere nullatenus debet» (San Gregorio Magno).