«Era un padre. Padre di tutti».

Pubblichiamo di seguito l’omelia tenuta da S. Em. Rev.ma Card. Giovanni Lajolo, Presidente Em. del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, nella Messa presso l’Altare di San Pietro nelle Grotte Vaticane, in occasione dell’anniversario della morte di Papa Pio XII (10 ottobre 2015, ore 11.00).

S. Em. Rev.ma Card. Giovanni Lajolo, Presidente Em. del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano
S. Em. Rev.ma Card. Giovanni Lajolo, Presidente Em. del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano

1. Quasi in filigrana, nella Parola di Dio che abbiamo ascoltato, traspare la figura di quel grande e santo Pontefice che fu Pio XII. Noi lo ricordiamo oggi, a 57 anni dalla sua morte, che avvenne il 9 ottobre 1958.
Con Pietro, Pio XII ha proclamato con fede che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, come abbiamo ascoltato dalla lettura del Vangelo; e, come Pietro, ha ricevuto dal Signore Gesù il compito di sostenere la Chiesa, di pascere e guidare il suo gregge, di confermare i fratelli nella fede. Come Paolo, Pio XII ha annunciato il Vangelo con coraggio, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, non cercando la gloria umana, ma amando gli uomini – tutti , amici e nemici – amorevole come una madre verso i propri figli, pronto a dare la sua stessa vita, non solo nell’oblazione quotidiana del suo indefesso lavoro, ma anche – se Dio voleva – con il sacrificio della sua vita, come Paolo dice di sé nel brano della prima lettera ai Tessalonicesi, che ci è stata proposto.
Sì, questa, in pochi ma pregnanti tratti, è la figura spirituale di quel grande Papa.

2. Non è questo il momento di rievocare i meriti del suo servizio sulla sede di Pietro e la sua santa vita; non sarebbe, del resto, possibile nemmeno per summa capita. Dirò solo poche cose che mi vengono spontaneamente alla mente.
Permettetemi di iniziare con un vanto. Noi tutti, come cristiani, abbiamo molto di cui vantarci, di cui andare umilmente gloriosi. “In che cosa?”, mi direte. Prima di tutto dell’amore che Dio ha per noi, nonostante, o forse proprio a causa della nostra miseria e dei nostri peccati. Lo dichiara S. Paolo nella prima lettera ai Corinzi: Possiamo vantarci nel Signore, in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione (cf. 1Cor 1, 30). Da questo fondamentale motivo di vanto molti altri derivano. Uno, e non l’ultimo, è la Chiesa, sposa di Cristo, in cui in modo particolare e molto concreto si manifesta l’amore di Dio per noi, indegni, ma veri membri della Chiesa. E tra i tanti privilegi di cui godiamo nella Chiesa, non si può ignorare quello di avere come guida il Papa, il pastore a cui Cristo ha affidato il suo gregge. E qui mi piace ricordare tutti i Papi della nostra vita, quelli che si sono succeduti dall’inizio del secolo ventesimo fino ad oggi. Che figure meravigliose! Quale altra istituzione umana può vantarsi di aver avuto dei capi – se così possono essere denominati questi “Servi dei servi di Dio” – a loro paragonabili in sapienza e santità?

Il Cardinal Pacelli nel 1938 a Parigi.
Il Cardinal Pacelli nel 1938 a Parigi.

A questi vanti di noi tutti vorrei aggiungere un mio vanto personale nei confronti del Papa Pacelli. Sì, di un vanto personale si tratta, perché posso dire di aver avuto Mons. Eugenio Pacelli come mio “predecessore”, anche se non immediato, nell’ ufficio di Rappresentante Pontificio in Germania. Egli fu Nunzio Apostolico prima in Baviera, poi in Prussia e nel Terzo Reich germanico, dal 1917 al 1929. Negli otto anni che io trascorsi come Rappresentante Pontificio in Germania ebbi occasione di visitare molti luoghi ed istituzioni ecclesiastiche di quel Paese; e non di rado fu per me motivo di gioia, e di fierezza, sentirmi dire: “Prima di lei, Herr Nuntius, nel tale anno, fu qui il Nunzio Pacelli”. Il ricordo di lui era ancora vivo!

Eugenio Pacelli fu indubbiamente un grande Nunzio Apostolico: il più grande, e anche il più ammirato ed amato dei Nunzi Apostolici in Germania. Lo testimonia in particolare quel che avvenne alla sua partenza da Berlino, quando Pio XI lo chiamò a Roma per farlo suo Segretario di Stato. Lungo tutto il percorso che dalla Nunziatura Apostolica conduceva alla Stazione ferroviaria, egli passò tra due ali di gente che gli dicevano la loro ammirazione ed il loro amore; e quando il treno si mosse per partire, non furono pochi a correre dietro al treno che si stava allontanando, per dargli ancora un saluto. Penso che un episodio del genere non sia mai capitato a nessun Nunzio Apostolico, né in Germania né altrove.

Non dirò della sua attività come Nunzio Apostolico in Germania. Ma mi piace ricordare due episodi che palesano il suo personale intervento come Papa, attraverso il suo Rappresentante in Germania, Mons. Cesare Orsenigo, in un estremo tentativo per sventare la guerra imminente, e poi in favore degli ebrei perseguitati. Entrambi gli episodi ebbero luogo a Berchtesgaden, nelle Alpi bavaresi, dove il sanguinario dittatore germanico aveva posto il nido dello sparviero. Anche la circostanza stessa che gli episodi ebbero luogo là e non a Berlino, sede del Governo e della Nunziatura Apostolica, è indicativo della gravità e dell’urgenza di quei due interventi, richiesti da Pio XII in persona.

Il Cardinal Pacelli, Nunzio in Baviera, tra le truppe al fronte.
Il Cardinal Pacelli, Nunzio in Baviera, tra le truppe al fronte.

Il primo episodio avvenne il 5 maggio 1939. Il Nunzio Orsenigo si era recato nella lontana Berchtesgaden per sottoporre a Hitler la proposta del Papa Pio XII di convocare una conferenza delle cinque potenze – Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Polonia – al fine di risolvere pacificamente le contrapposizioni, che minacciavano di gettare l’Europa, e con l’Europa il mondo intero, nel baratro della guerra. Mons. Orsenigo incontrò nel Führer un interesse molto superficiale, nonostante l’assicurazione verbale che la Germania non nutriva alcuna intenzione bellicosa. Hitler ci tenne a non tacere al Rappresentante del Papa che egli “era invincibilmente armato” contro la Francia, e che anche contro la Polonia la Germania era ben fortificata nei suoi confini orientali, ed ancor più lo sarebbe stata nei prossimi tempi. Il Nunzio dovette inoltre ascoltarsi un rude discorso d’accusa contro la Gran Bretagna. Il colloquio ebbe luogo nel maggio del 1939. Il primo settembre dello stesso anno si scatenava l’attacco nazista contro la Polonia. Si apriva sanguinosamente la Seconda Guerra Mondiale (cf. Le Saint-Siège et la guerre en Europe, Mars 1939 – Août 1940, Città del Vaticano 1965, pag. 129-132).

Il secondo episodio ebbe luogo nel novembre del 1943, quando ormai la folle crudeltà del dittatore non aveva più freni. Mons. Orsenigo ne parlò alcuni giorni dopo con il giornalista Edoardo Senatra, nella sua sede d’emergenza non lontana dalla Capitale, nel Castello di Prötzel, dove aveva dovuto trasferirsi per la minaccia di attacchi aerei su Berlino. Cito alla lettera il resoconto del giornalista:
“Per altissimo incarico (cioè per incarico di Pio XII) – gli raccontò Orsenigo – alcuni giorni fa mi sono recato con l’aereo a Berchtesgaden. Sono stato ricevuto dal Führer e Cancelliere Hitler. Ma appena ebbi toccato il tema degli ebrei e dell’ebraismo, chiedendo mitezza e umanità di trattamento, Hitler si voltò, andò alla finestra e là si mise a tamburellare con le dita sul vetro. Può comprendere quanto mi fosse penoso presentare al mio interlocutore, voltato di spalle, ciò di cui ero incaricato. Tuttavia lo feci. A un certo punto Hitler si girò improvvisamente, andò a un tavolo dove c’era un bicchiere d’acqua, lo prese, e lo scagliò furente per terra. Con questo gesto, altamente diplomatico e da uomo di Stato (!), potevo considerare la mia missione come compiuta e al contempo, purtroppo, respinta” (Petrusblatt, Berlino, 7 aprile 1963).
Due episodi, due insuccessi nella storia della diplomazia pontificia. Essi testimoniano, nonostante lo smacco e l’umiliazione, l’impegno di Pio XII per la pace e per i diritti umani, due ambiti d’azione che appartenevano alle priorità del suo pontificato. (Testi tratti da G. Lajolo, Una Chiesa tra sfide e speranza, Ed. Marcianum Press 2015).

Ritratto di Pio XII nella Chiesa di Santa Maria sopra Minerva.
Ritratto di Pio XII nella Chiesa di Santa Maria sopra Minerva.

3. Il travagliato Pontificato di Pio XII fu gravato prima dai tragici eventi della seconda guerra mondiale, poi dall’estrema tensione, nei rapporti internazionali, della “guerra fredda” e dalla situazione di quotidiano martirio della “Chiesa del Silenzio”, come egli la chiamò. Ma, nonostante le durissime condizioni avverse, forse proprio per esse, nel panorama di quegli anni fra tutti i grandi attori della scena internazionale si staglia la figura luminosa del “Pastor Angelicus”. Chi è già avanti negli anni, come chi vi parla, può ben ricordare come, all’apparire del Papa Pio XII nelle pubbliche udienze in Piazza San Pietro, l’enorme folla che la riempiva fosse tutta attraversata come da un fremito, come percorsa da una vibrazione magnetica. Era l’intima unione di spirito del gregge con il suo Pastore. A noi giovani, e non solo a noi, egli appariva come il modello di una straordinaria perfezione naturale, arricchita e sublimata dalla grazia; quando pregava, ci pareva immerso nella contemplazione delle cose celesti; e quando benediceva, ci pareva che le sue braccia spalancate aprissero il cielo sulla terra.

Quale ricchezza di sapienza egli trasmise alla Chiesa! Quali impulsi egli diede in tutti i campi dell’attività apostolica! Per varie ragioni, molto pratiche, Pio XII non poté convocare un Concilio Ecumenico, ma ci pensò seriamente; e il suo nome entrò nei documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, dove i riferimenti al suo magistero sono oltre duecento.
E quale ricchezza d’amore nel suo ministero petrino! Per la sua città e per il mondo intero, per ogni categoria di persone, dalle più altolocate alle più umili, in tutti i settori della vita: dai rapporti interstatuali, alla legislazione canonica anche delle Chiese orientali, all’ordinamento liturgico, alla questione sociale, ai problemi di confine tra scienza e fede così come tra politica e religione, alla vita dei sacerdoti, dei missionari, delle religiose, del laicato cattolico, degli operai, dei giovani, dello sport… Con un impegno personale che lo consumava fisicamente, egli si donava totalmente, tutto a tutti, con il suo interessamento paterno, la sua alta dottrina, il suo incoraggiamento sempre entusiasmante, la sua carità senza limiti. A questo proposito non posso non ricordare l’istituzione dell’ Ufficio “Ricerche dei prigionieri”, che svolse un’intensissima attività dal settembre del’39 fino al 1947. Ne danno testimonianza oltre venti milioni di lettere. E poi, a partire dal 1944, l’istituzione della Pontificia Opera di Assistenza per portare aiuto ovunque ci fosse bisogno nel’Europa disastrata di quegli anni. Era un padre. Padre di tutti.
Questi miei sono solo degli accenni. Parlare di Pio XII non è facile, perché troppo ci sarebbe da dire, da ammirare e da lodare. Ma vorrei terminare menzionando, sia pur brevemente, due amplissimi campi del suo interesse apostolico.

4. Poiché siamo nei giorni dei lavori del Sinodo della Famiglia, non posso non ricordare il suo costante impegno per la famiglia cristiana. Momenti di grande gioia erano le sue Udienze agli Sposi Novelli, in cui rivolgeva loro amabilissimi insegnamenti ed incoraggiamenti. Di particolare momento, oltre al suo magistrale discorso al Congresso dell’Unione Cattolica Italiana delle Ostetriche del 29 ottobre 1951, il suo Radiomessaggio del 23 marzo 1952 in occasione della “Giornata della Famiglia”: viva testimonianza della sua attenzione e – cito – dell’”ansia che gli stringeva il cuore per questo formidabile problema, che tocca il presente e l’avvenire del mondo e l’eterno destino di tante anime”.
Nel suo radiomessaggio per il Natale del 1942 egli univa la tutela della famiglia e la promozione della pace come parti inscindibili di un solo disegno. La pace! L’impegno di Pio XII per la pace era diretto e a tutto campo, in conformità al suo motto episcopale: Opus iustitiae pax. Per preservare l’umanità dagli orrori della guerra, per promuovere la concordia tra i popoli mobilitò sempre e senza sosta tutte le risorse della diplomazia pontificia. E’ del suo messaggio ai governanti del 24 agosto 1939 la celebre frase: “Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra”. La pace resta sempre, e più che mai oggi, nel nostro mondo devastato da tante guerre e da tanti conflitti armati, un dovere pressante e una possibilità, anzi, la possibilità più grande, e da non perdere.

Dal Paradiso Pio XII interceda perché i cuori dei responsabili delle Nazioni e di tutti gli uomini si aprano a pensieri di pace, di concordia: di umanità. Interceda egli per i cristiani oggi perseguitati in varie parti del mondo, perché – come egli pregava per i cristiani della “Chiesa del Silenzio” – “siano abbreviati i giorni dell’afflizione e tutti – insieme con i loro oppressori convertiti – possano liberamente lodare nostro Signore Gesù Cristo, che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli dei secoli”.
Alla sua preghiera noi ci uniamo: Così sia!