San John Henry Newman, Pio XII e il mistero della coscienza

Nessuno ne avrà mai la certezza, ma, stando alle confidenze del celebre intellettuale francese, in un colloquio privato Jean Guitton si sentì rassicurare così da Pio XII: «Non dubiti: Newman sarà un giorno dottore della Chiesa». Ora che il grande convertito di Oxford è agli onori degli altari a pieno titolo – dopo la beatificazione celebrata da Benedetto XVI, che non ha mancato di mostrare più volte la sua affinità con il Santo inglese, e la canonizzazione voluta da Papa Francesco -, non mancano voci autorevoli a sostegno della richiesta di un ulteriore riconoscimento, volto ad ottenere proprio il titolo di “dottore della Chiesa”.
Non sappiamo quanto e cosa Papa Pacelli avesse letto di San John Henry Newman, ma, a fidarsi del giudizio riportato da Jean Guitton, doveva averne letto certamente abbastanza. Pio XII non era certo il tipo di persona da lasciarsi andare ad un giudizio così grave senza un convincimento ragionato e fondato. É molto probabile, comunque, che il Papa avesse letto – tra le altre opere – la Lettera al Duca di Norfolk, scritta da Newman nel 1874, nel pieno della polemica che animava il dibattito inglese contro la definizione conciliare dell’infallibilità pontificia.
Di quel testo, sono tutt’oggi note alcune brillanti passaggi, perlopiù tristemente fraintesi. «Se fossi obbligato a introdurre la religione nei brindisi dopo un pranzo (il che in verità non mi sembra proprio la cosa migliore), brinderò, se volete, al Papa; tuttavia prima alla coscienza, poi al Papa». E, addirittura, Newman – che pure, ovviamente, aderisce al dogma contestato – definisce la coscienza come «il primo dei Vicari di Cristo». D’altra parte, per seguire la ‘luce gentile’ che avvertiva al centro della sua coscienza, Newman aveva mollato tutto, senza timore di esporsi allo stigma che la società vittoriana dell’epoca non gli avrebbe certo risparmiato.
Evidentemente, tuttavia, il Professore di Oxford, già Vicario della University Church, aveva in mente un concetto di coscienza ben più strutturato di quello che una disinvolta lettura potrebbe suggerire. È egli stesso, d’altra parte, a mettere in guardia: «Al giorno d’oggi, per una buona parte della gente, il diritto e la libertà di coscienza consistono proprio nello sbarazzarsi della coscienza».
Che la coscienza – per usare ancora le parole del Santo inglese – ha diritti in quanto ha doveri, era sicuramente ben chiaro anche a Pio XII, il quale non mancò, nei suoi interventi pubblici, di segnalare più volte il tema. A ritornare, nell’arco del suo pontificato, è soprattutto il motivo per il quale tra i primi doveri della coscienza vi è senz’altro quello di lasciarsi formare. A questo dovere è dedicato in modo particolare il radiomessaggio in occasione della Giornata della Famiglia del 1952.
Si tratta, evidentemente, di un tema sempre delicato, oggi come sempre, a motivo della necessità di comporre adeguatamente da un lato l’esigenza di educare la coscienza, dall’altro il suo rispetto come del «nucleo più intimo e segreto dell’uomo». Con parole assolutamente moderne, Pio XII descrive così questa peculiare dignità: «Là egli si rifugia con le sue facoltà spirituali in assoluta solitudine: solo con se stesso, o meglio, solo con Dio — della cui voce la coscienza risuona — e con se stesso. Là egli si determina per il bene o per il male; là egli sceglie fra la strada della vittoria e quella della disfatta. Quando anche volesse, l’uomo non riuscirebbe mai a togliersela di dosso; con essa, o che approvi o che condanni, percorrerà tutto il cammino della vita, ed egualmente con essa, testimone veritiero ed incorruttibile, si presenterà al giudizio di Dio».
L’educazione di questa coscienza, dunque, – lungi da una forzatura di essa – dovrà consistere in una rispettosa opera volta a far emergere la verità già di per sé presente nel cuore dell’uomo. «Formare la coscienza cristiana di un fanciullo o di un giovane – spiega Pacelli – consiste innanzi tutto nell’illuminare la loro mente circa la volontà di Cristo, la sua legge, la sua via».
Se si vuole, c’è un sermone di Newman, ancora anglicano, tenuto il 25 febbraio 1838, che può ben servire a comprendere il tema (Sermoni parrocchiali, 21, “Amore e fede”). Il futuro Santo, in quella circostanza, spiegava ai fedeli la differenza tra ‘santità’ e ‘religione’, presentando la seconda come strumentale alla prima. La ‘santità’, spiegava Newman, è conseguenza della legge di Dio incisa dallo Spirito nel nostro cuore, e dunque delle mozioni che da questo cuore, per sua natura, provengono. La ‘religione’, invece, è lo strumento con il quale siamo aiutati a discernere questa voce, ad ascoltarla, e dunque ad assecondarla. «Dio viene in noi come Legge, ancor prima di venire come Legislatore; il che significa che Egli pone il suo trono dentro di noi, e ci rende capaci di obbedirgli, prima ancora che noi abbiamo imparato a discernere i nostri sentimenti e a riconoscere la Sua voce». Il mondo, tuttavia, ci confonde, ed ecco allora che la religione viene in nostro aiuto, aiutandoci a sentire questa voce che parla nel sacrario della coscienza. Newman impiega un’immagine pienamente evocativa: la legge di Dio incisa nel nostro cuore – germe della nostra vita di santità – ci parla; tuttavia abbiamo bisogno di qualcuno che ci insegni a riconoscerla, come il giovane Samuele, pur ascoltando la voce di Dio, non riuscì a riconoscerla fin quando non fu il sacerdote Eli ad aiutarlo.
Allo stesso modo, potrebbe dirsi che l’educazione della coscienza svolge il ruolo di Eli, che interviene ad aiutare Samuele a discernere e riconoscere quanto già Dio nella sua coscienza gli sta dicendo. Così, aiutati a sintonizzarsi sulle frequenze della propria coscienza – per usare ancora le parole di Pio XII – gli uomini «preparati, potranno aspirare anche all’ottimo, potranno darsi cioè a quel grande impiego di sé, il cui adempimento sarà il loro vanto: attuare Cristo nella loro vita».
Attuarlo, portarlo in rilievo, farlo emergere, come seppe fare – ci certifica la Chiesa oggi – il Santo cardinal Newman. E come seppe fare – certi che presto non mancherà neanche questa certificazione – Papa Pio XII. Far emergere l’immagine di Cristo che ciascuno già porta impressa, per grazia, nella propria coscienza. Chiediamo che in questa vocazione ci aiuti il nuovo Santo inglese, che, chissà, forse potremo un giorno invocare come “Dottore della Chiesa” – il che sarebbe una nuova conferma del dono della profezia di cui già altre volte Pacelli ha dato segno.

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