Pio XII salvò due volte l’amico ebreo Ascarelli. Le scelte sconosciute di Papa Pacelli.

di Alessandro Notarnicola | dentro le Mura

Ascarelli-1Chi sostiene che Papa Pio XII non mosse un dito per salvare gli ebrei romani dimostra di non conoscere le pagine della storia, o comunque di non aver letto una delle più belle storie di amicizia mai ricordate tra un ebreo e un cattolico.
Compagni di scuola fra gli anni Ottanta e Novanta dell’800, uno incline a seguire la carriera ecclesiastica e l’altro destinato a diventare uno dei luminari più celebri del ‘900 italiano, Albino Pacelli e Attilio Ascarelli saranno due protagonisti silenziosi della Roma “città aperta”.
Si tratta dell’uomo che ebbe l’ingrato compito di riesumare, studiare, ricomporre e riconoscere i 335 cadaveri delle Fosse Ardeatine.

Un’amicizia, quella tra Pio XII e il medico Ascarelli, che durò nel tempo e alla quale il luminare e la sua famiglia devono la fortunata sorte che spettò loro negli anni difficili delle leggi razziali e poi nel lungo inverno 1943-1944. La vicenda, in parte raccontata dalla figlia di Ascarelli, Silvana (nata nel 1905 dall’unione con Elena Pontecorvo, zia del regista Gillo), e conservata nell’archivio dello Yad Vashem, è riemersa grazie a un volume “I martiri ardeatini. Carte inedite 1944-1945” di M. Contu, M. Cingolani e C. Tasca, pubblicato in occasione dei cinquant’anni dalla scomparsa di Ascarelli. Si tratta della dettagliata documentazione, in gran parte inedita, raccolta dall’anatomopatologo su ognuna delle vittime.

Eugenio e Attilio (di un anno più grande) frequentano per 8 anni il liceo Visconti di Roma nel periodo in cui il padre di Ascarelli, Tranquillo, è presidente dell’Università israelitica romana. Laureato in Medicina nel 1900, Attilio diventa prima docente di Medicina legale a Macerata, poi direttore dell’ambulatorio dell’Istituto di medicina legale di Roma, oltre che primario presso gli Ospedali Riuniti. Incarichi che è costretto ad abbandonare in seguito alle leggi razziali. Nella primavera del 1939, Eugenio, eletto Papa, interviene per trovargli un incarico alla Pontificia Università Gregoriana. Nei mesi precedenti, come confermato dai documenti dello Yad Vashem, Elena Ascarelli viene accolta, con la mamma e i figli al Convento del Sacro Cuore del Bambin Gesù a Roma. “Le suore – testimonia Elena – ci accettarono senza difficoltà. Dissi alla madre superiora che ero ebrea, ed ella informò la gente del convento che eravamo degli sfollati dalla Sicilia (il che era plausibile dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia). Pagavamo una retta relativamente bassa, e il trattamento, date le circostanze di allora era buono. Mia mamma ebbe una cameretta col bimbo di sei anni. Io stavo in un’altra cameretta con la figlia di 9 anni. Le due figlie maggiori erano in camerata. Il figlio Giorgio di 13 anni fu ospitato dal professor Ernesto Buonaiuti, ex prete. Era ben conosciuto come scrittore e filosofo liberale. Mio padre, per l’intervento del papa Pio XII, che era stato il suo compagno per 8 anni di ginnasio e di liceo, fu accettato dalla Università Gregoriana. Giorgio fu poi mandato nel collegio Cristo Re e studiava regolarmente. Io, con gli altri figli, rimasi nel convento fin dopo la liberazione di Roma avvenuta il 4 giugno 1944”.

La testimonianza di Elena è a dir poco preziosa perché va ancora una volta ad avallare la tesi di molti storici, tra i quali, Antonello Carvigiani, che sostiene l’esistenza di una “velina” arrecante “un ordine scritto o orale, ma ugualmente consistente in una formula standard, fatto arrivare – per volere del Papa – a tutte le case dei religiosi e delle religiose, alle parrocchie e ad ogni struttura ecclesiale presente a Roma affinché aprano le porte per dare rifugio ai ricercati”.

I due amici, tuttavia, si rividero una sola volta, a ottant’anni, il 20 maggio 1956, quando Pio XII si recò in visita agli Ospedali Riuniti, dove Ascarelli, dopo essere stato direttore della Scuola di polizia scientifica, svolgeva ancora il ruolo di consulente. Una storia, riflette “Avvenire”, che ricorda da vicino quella del generale Guido Mendes, anch’egli ebreo e compagno di scuola di Pacelli al Visconti. La racconta suor Margherita Marchione, biografa di Pio XII, secondo la quale Eugenio era spesso ospite di Guido (le loro famiglie erano vicine di casa a Santa Marinella) in occasione delle festività ebraiche. Nel ’38, Guido e la sua famiglia scamparono all’arresto grazie all’amico, all’epoca Segretario di Stato, che fece avere loro un salvacondotto per rifugiarsi in Svizzera, da dove la famiglia Mendes riuscì a emigrare in Palestina.