Pio XII. Padre comune.

Pubblichiamo di seguito una riflessione di padre Marc Lindeijer, SJ, Assistente del Postulatore, sul tema della paternità di Papa Pio XII. Si tratta dell’intervento nel corso del convegno «Nuovi contributi alla verità storica sul Pontificato di Pio XII» tenutosi a Roma, il 6 marzo 2013, presieduto dal cardinale José Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi.

Nel 2008, facendo memoria del suo Venerabile predecessore Papa Pacelli, Benedetto XVI disse: “Negli ultimi anni, quando si è parlato di Pio XII, l’attenzione si è concentrata in modo eccessivo su una sola problematica, trattata per di più in maniera piuttosto unilaterale. A parte ogni altra considerazione, ciò ha impedito un approccio adeguato ad una figura di grande spessore storico-teologico”. Questa problematica è naturalmente il cosiddetto grande silenzio davanti allo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti e fascisti. Penso che possiamo essere molto grati alla schiera di seri storici, appoggiati da Papa Paolo VI e dai suoi successori, che da quasi cinquant’anni hanno contribuito alla demitizzazione della “leggenda nera” che troppo ha oscurato la figura luminosa di Eugenio Pacelli. Vale la pena, in questo contesto, ricordare le parole proferite da un ebreo, il rabbino David Dalin, nel 2001; questi notò che “quasi tutti coloro che oggi si collocano su questa linea” di diffamazione di Pio XII “sono cattolici o usciti dalla Chiesa o critici nei suoi confronti. […] Il vero tema risulta essere una discussione interna al cattolicesimo circa il senso della Chiesa oggi, dove l’Olocausto diviene semplicemente il bastone più grosso di cui i cattolici progressisti possono disporre per usarlo come arma contro i tradizionalisti.” Questa critica da parte dei cattolici progressisti sembra essere non infondata: basta fare qualche ricerca sul web per vedere l’attrazione esercitata dalle immagini del Venerabile su certi ceti neoconservatori, immagini in cui dominano la tiara, i flabelli, la sedia gestatoria e altri elementi dell’antica Corte Pontificia. Qui, secondo me, ci troviamo di fronte ad un altro tipo di esagerata attenzione, che sarebbe meglio evitare. E se non bastasse ciò che ha testimoniato Suor Pasqualina, e cioè che al Papa proprio non piaceva la pompa dell’annuale festa dell’Incoronazione, anzi che volentieri l’avrebbe abolita, troviamo confermato pienamente il suo desiderio di una più grande semplicità nei documenti preparatori del Concilio da lui voluto. Fra le materie da trattare, elencate nel luglio 1948, si legge: “Simplificatio Curiae et reordinatio: minor pompa et maior sobrietas in paramentis pretiosis”. Pio XII non era indifferente all’orrendo male fatto agli ebrei, né era incantato dallo splendore cerimoniale che reggeva la sua vita pubblica; di tutti i rimproveri che si sarebbero potuti fare nei suoi confronti, quello di superficialità sarebbe stato l’ultimo. Che cosa invece, nel suo profilo spirituale, dovremmo mettere più in rilievo se vogliamo seguire l’indicazione dataci da Benedetto XVI e favorire un approccio adeguato alla figura di Papa Pacelli?
Sono principiante nel campo degli studi pacelliani, lo ammetto volentieri, e sono entrato in questo campo, spinto dal motivo che di solito anima un postulatore – la volontà di promuovere la devozione verso il candidato alla canonizzazione. Eppure, forse in questo c’è anche un piccolo vantaggio, e cioè che almeno in prima istanza ho potuto leggere le fonti con uno sguardo fresco, non troppo offuscato da idee preconcette e posizioni prese. Sono molto preziose, le prime impressioni, perché le abbiamo soltanto una volta. Il primo libro che ho aperto è stato quello scritto nel 1960 dal Cardinale Domenico Tardini, nella cui prefazione è riportato l’elogio che fece l’allora Patriarca di Venezia Giuseppe Roncalli nella basilica di San Marco l’11 ottobre 1958, commemorando il defunto Pontefice. Non voglio nascondere i miei pregiudizi verso Pio XII: solitario, ieratico, distante, Pastore angelico con l’accento su ‘angelico’, nel senso ‘non di questo mondo’. Grande quindi fu la mia sorpresa quando lessi l’elogio di Papa Giovanni XXIII, ordinariamente presentato come il contrario del predecessore, sorpresa non perché lodava il suo magistero “alto e divino” – notissima l’immagine del Papa davanti al microfono o alla folla –, ma sorpresa a causa del secondo grande successo che avrebbe caratterizzato il suo pontificato. È proprio lì, in questa parte dell’elogio, che ho trovato il titolo del mio discorso: “Pio XII, Padre comune”. Non avevo mai pensato a lui come una persona paterna, anzi, ma continuando i miei primi studi potevo notare che proprio la paternità funzionava assai bene come chiave di lettura. “Grande, come Padre tenerissimo di tutti i suoi figli”, lo chiamò il suo Pro-Segretario di Stato Tardini, e più in là, dove discute di Pacelli come uomo politico, disse che questi spesso “parlò per difendere la Chiesa, parlò con competenza di Giudice, con autorità di Maestro, con affetto di Padre”. Anche un altro stretto collaboratore di Pio XII, Papa Paolo VI, descrivendo la sua eletta figura quando nel 1964 fu inaugurato il monumento al predecessore nella basilica Vaticana, mise l’accento sulla paternità in questa bellissima frase finale del suo discorso: “Ricordarlo è pietà, riconoscerlo è giustizia. Seguirne gli insegnamenti e gli esempi sarà conforto. E ripensarlo a noi vicino, ancora amico, ancora maestro, ancora padre, nella comunione dei Santi, sarà per noi tutti non fallace speranza.”
Cos’è la paternità? Ancora lo scorso 30 gennaio, il Santo Padre Benedetto XVI ne ha trattato con una ben nutrita catechesi, riflettendo su Dio Padre onnipotente. Infatti, ha cominciato col dire quanto fosse attuale questo tema. Mi permetto una lunga citazione: “Non è sempre facile oggi parlare di paternità. Soprattutto nel mondo occidentale, le famiglie disgregate, gli impegni di lavoro sempre più assorbenti, le preoccupazioni e spesso la fatica di far quadrare i bilanci familiari, l’invasione distraente dei mass media all’interno del vivere quotidiano sono alcuni tra i molti fattori che possono impedire un sereno e costruttivo rapporto tra padri e figli. La comunicazione si fa a volte difficile, la fiducia viene meno e il rapporto con la figura paterna può diventare problematico; e problematico diventa così anche immaginare Dio come un padre, non avendo modelli adeguati di riferimento. Per chi ha fatto esperienza di un padre troppo autoritario ed inflessibile, o indifferente e poco affettuoso, o addirittura assente, non è facile pensare con serenità a Dio come Padre e abbandonarsi a Lui con fiducia.” Poi il Papa ci presenta Dio come “un Padre amorevole che sorregge, aiuta, accoglie, perdona, salva, con una fedeltà che sorpassa immensamente quella degli uomini, per aprirsi a dimensioni di eternità”. Qui, analogamente, Benedetto XVI ci presenta pure la figura ideale di ogni padre, il padre spirituale incluso, e in modo particolare del Santo Padre, del Padre comune. In questo contesto si potrebbe opportunamente aggiungere ciò che ha scritto nel 2000 il compianto Cardinale Tomáš Spidlík notando due delle principali qualità del padre spirituale, e cioè che deve essere padre e non semplice maestro, e deve essere spirituale, affinché i suoi consigli abbiano la forza dello Spirito santo. Il fatto che tale figura sia qualificata appunto come spirituale, indica che la sua paternità ha in sé un significato molto più ampio, includendo in un certo modo la cura di tutta la persona del figlio o della figlia spirituale. Basta leggere, per esempio nella recente biografia scritta da Andrea Tornielli, quanto Pio XII si sacrificò durante la guerra per la gente della sua Diocesi di Roma e del mondo. “Il Papa si fece mendicante, per poter aiutare i figli che si trovavano nella miseria”, così Tornielli cita una Suora della Casa Pontificia. “A tutti si dava: si distribuivano generi alimentari, biancheria, ecc. […].”
Giunto a questo punto, vorrei tornare a ciò che Giovanni XXIII ha definito il secondo grande successo del pontificato del suo predecessore e che ha fatto meritare a quest’ultimo il titolo di “Padre comune”. Dopo aver riassunto in qualche riga le “vibrazioni” dopo la morte dei Papi precedenti, da Pio IX in poi, “prigionieri del Vaticano” venerati anzitutto dai propri fedeli, il Roncalli concluse: “Col nostro Santo Padre Pio XII invece […] assistiamo ad una apertura evidente di nuovi cieli, e di qualcosa di misterioso che attesta un graduale miglioramento dei contatti dell’ordine civile coll’ordine religioso e sociale […]. Si direbbe che il sollevarsi in alto di questo Papa, il cui nome passerà fra i più grandi e i più popolari della storia moderna, provoca un più riguardoso contegno verso tutto ciò che il Capo della Chiesa Cattolica significa e riassume […].” Infatti, non sembra essere troppo audace supporre che, senza il pontificato di Pio XII che abbracciò il mondo intero, l’accoglienza di Papa Giovanni sarebbe stata meno calorosa, le aspettative del Concilio Ecumenico meno alte, e si può soltanto deplorare che le stesse forze, che già durante il Concilio cominciarono a distruggere la buona fama di Papa Pacelli e del Papato in genere, sono riuscite a creare una polarizzazione nella Chiesa che ha rinchiuso Paolo VI in una posizione peggiore dei quattro predecessori di Pacelli, che godevano almeno il rispetto di tutti i cattolici; soltanto l’immenso carisma pastorale del Beato Giovanni Paolo II, unito allo stimatissimo magistero di Benedetto XVI ha potuto riacquistare per la nostra epoca, cinquant’anni dopo, questo “riguardoso contegno” verso la figura del Capo della Chiesa, notato da Papa Giovanni quando elogiò Pio XII. E non fu soltanto lui a notarlo. In Stimmen der Zeit, il segretario del defunto Pontefice, il Padre Robert Leiber SJ, commemorandolo enumerò i due compiti specifici del suo governo: guidare la Chiesa attraverso la seconda guerra mondiale, ed esporre la dottrina cattolica in tutta la sua ricchezza e secondo la sua irradiazione nelle più diverse aeree della vita umana. “Fu l’uomo della Chiesa, della Chiesa mondiale.” “Pochi Papi – così l’editoriale della rivista Études nel novembre 1958 – hanno suscitato tanta speranza ed entusiasmo in tutto il mondo, anche fuori della Chiesa, come Pio XII al suo arrivo. […] Ciò che il mondo ha riconosciuto in lui, prima di tutto, è un uomo di Dio e un difensore disinteressato dei soli diritti spirituali.” Padre Angelo Martini SJ infine, nella Civiltà Cattolica, lo riassunse come segue: “Se i popoli e le nazioni […] hanno via via sentito in Lui quasi incarnarsi la voce della coscienza umana e della dignità morale, elevarsi una figura oltre ogni mischia e interesse di parte ed ergersi assertore e vindice del diritto, della verità e della giustizia; se la Chiesa l’ha sentito in ogni campo padre e pastore angelico: tutto questo dimostra che, davanti al rigoroso tribunale degli individui e delle nazioni, il pontificato di Pio XII raccoglie la meritata conferma di aver corrisposto alle esigenze della storia, manifestazione dei disegni di Dio.”
Manca il tempo per dimostrare con la dovuta completezza come si sia realizzata la paternità comune di Pio XII nei quasi vent’anni del suo pontificato. Si potrebbe accennare alla sollecitudine per le Chiese separate o allo slancio missionario, o all’aggiornamento della liturgia e della disciplina dei Sacramenti; sarebbe possibile parlare a lungo delle tante canonizzazioni e beatificazioni, volute per mostrare l’universalità della chiamata alla santità, tema chiave del Concilio; e come negare l’internazionalizzazione della Curia Romana, per esempio tramite la nomina di un maggior numero di Cardinali provenienti degli altri continenti e di paesi fin a poco tempo prima terra di missione? Ma se vogliamo sentire più vicino a noi Papa Pacelli, vicino come l’hanno sentito le migliaia e migliaia di persone che parteciparono commosse ai suoi funerali – le immagine filmiche di essi fanno ancora impressione –, se vogliamo riconoscerlo come il Padre universalmente compianto nell’ottobre 1958, dobbiamo anzitutto rievocare due ricchissimi capitoli della sua biografia, e cioè quello sulla guerra, quando egli mostrò Urbi et Orbi una carità paterna che fu davvero eroica, e poi il capitolo sul suo ministero preferito, vale a dire le tante, tante udienze. Il popolo romano, nel giorno della liberazione, 4 giugno 1944, gli attribuì il titolo Defensor civitatis. “Sì – ha commentato Paolo VI –, se Roma non sofferse maggiori rovine di quelle inflitte ad alcuni suoi quartieri periferici, lo deve principalmente a questo Papa. Ciò non si potrà, non si dovrà dimenticare!” Ma non soltanto Roma. Quante vittime della guerra, civili e militari, di ambedue fronti, non hanno avuto motivo per conservare cara e sacra la sua memoria tutta la loro vita? Pensiamo all’istituzione della benemerente Pontificia Commissione di Assistenza, all’intercessione per i deportati e i condannati a morte, all’accoglienza nei suoi palazzi degli sfollati e di coloro che erano nel pericolo. “Riduce il suo vitto”, ha testimoniato Mons. Tardini, “moltiplica le sue penitenze, vuole che, nel rigido inverno, il suo appartamento non sia riscaldato. Pochi sanno che, alla fine della guerra, Pio XII era così esile e così dimagrito da pesare soltanto 57 chilogrammi.” E poi, le folle: Members_of_the_Royal_22e_Regiment_in_audience_with_Pope_Pius_XIIclassica l’immagine del Papa nella loggia delle benedizione di San Pietro, che estende largamente le braccia per poter abbracciare e benedire paternamente la moltitudine di fedeli e di non-fedeli; anzi, durante la guerra ricevette pure i soldati tedeschi, come, nei mesi dopo il giugno 1944, accolse quelli degli eserciti inglesi, americani, canadesi, australiani, ecc. “Erano tutti profondamente impressionati dalla sua personalità”, ha detto il Padre Leiber, “i non-cattolici ancora di più dei cattolici.” Non si erano aspettati di trovare un uomo così buono, così amabile. Lo stesso avveniva nelle udienze generali. Sentiamo Suor Pasqualina, testimone privilegiata, quanto dice sulle udienze a Castel Gandolfo: “Il cortile si trasformava in sala del trono o era il semplice luogo d’incontro di un Padre amoroso con i suoi figli. Era il luogo di convegno di tutte le categorie di persone e di tutte le nazioni. Pio XII rivolgeva la parola ai suoi figli e alle sue figlie in più di sei lingue. Ognuno udiva la lingua della propria patria e si sentiva a casa sua presso il Padre comune!” A questo adesso siamo abituati, un Papa che ci saluta in tante lingue, ma è bene ricordarci che colui che solidamente stabilì questa tradizione fu Pio XII. Non stupisce che la parola “Padre” venga così facile quando si parla delle udienze.
Padre comune: così Pio XII fu percepito da tanti che l’incontrarono. Infatti, il vecchio maresciallo inglese Montgomery, che aveva parlato con lui parecchie volte, aveva appeso al muro sopra il suo letto la fotografia donatagli dal Papa, accanto a quella del proprio padre. Ma, per lo stesso Pacelli, fu determinante per lui, per il suo modo di guidare la Chiesa, il concetto della paternità? Sembra di no, quando si studiano i testi liturgici del Commune unius aut plurium Summorum Pontificum, da lui scelto ed introdotto nel Messale nel 1942: in essi domina il tema biblico del Pastore universale e del gregge, per il quale si implora la libertà e la tranquillità desiderate per poter conservare e vivere integralmente la fede. Però è già stato osservato da Padre Raimondo Spiazzi OP, consultore teologico del Pontefice, che il tempo della guerra l’aveva addolcito, “e tutta la sua persona aveva acquistato, senza perdere in vigore, un senso nuovo di paternità”. Altre preziose fonti autoriflessive sono i discorsi di Pio XII pronunciati in occasione della canonizzazione di Pio X, nel 1954, e della beatificazione, nel 1956, di Papa Innocenzo XI, ambedue tanto bramate dal Papa. È vero che questi discorsi sono determinati dalla persona storica di cui trattano, ma è pure vero che le riflessioni di un Papa su un suo predecessore non possono non essere allo stesso tempo riflessioni sul proprio pontificato. San Pio X – Eugenio Pacelli l’aveva conosciuto personalmente – fu lodato come “gloria del sacerdozio, splendore e decoro del popolo cristiano”, come “Pontefice della Eucaristia e del catechismo, della fede integra e della fermezza impavida”, e fu supplicato di ottenere alla Chiesa “la incolumità e la costanza, in mezzo alle difficoltà e alle persecuzioni dei nostri tempi”. Segue poi una preghiera davvero da Padre comune: “Sorreggi questa povera umanità, i cui dolori così profondamente Ti afflissero, che arrestarono alla fine i palpiti del tuo gran cuore; fa che in questo mondo agitato trionfi quella pace, che deve essere armonia fra le nazioni, accordo fraterno e sincera collaborazione fra le classi sociali, amore e carità fra gli uomini” Ma l’affinità di Pio XII si sente ancora di più nella figura di Papa Odescalchi, che aveva tanto sofferto durante la vita. Di lui disse, in una frase che nasconde malapena i suoi propri elevatissimi ideali, che il suo “servire unicamente alla causa santa, in scrupolosa coscienziosità dinanzi a Dio ed offrendosi a Lui come puro strumento, è forse il più spiccato tratto del [suo] carattere”. Innocenzo XI “ha lottato con la più pura intenzione […] per la difesa del diritto della Chiesa e per la salvezza eterna” dell’opponente principale, il Re Luigi XIV. “È per verità singolare, come l’eccelsa santità che ne è l’origine, il caso di un avversario [e cioè il Papa, nda] che conserva nella lotta, unitamente alla severità, l’amorevole benignità del padre.” Infatti, quando morì l’Odescalchi, non mancarono “le favorevoli testimonianze […] di non pochi acattolici, che, sebbene non benevoli verso la Sede Apostolica, riconobbero la bontà, la rettitudine e la forza d’animo di lui”. Non fu differente nel 1958, quando morì lo stesso Pio XII, Padre comune.

Marc Lindeijer, SJ
Roma, 6 marzo 2013