Pio XII, martire del dovere e della memoria

Pubblichiamo di seguito il discorso tenuto il 13 dicembre 2019, memoria di San Lucia, da Mons. Giuseppe Sciacca, segretario del Supremo tribunale della Segnatura apostolica, nel contesto della celebrazione per i dieci anni dal riconoscimento delle virtù eroiche di papa Pio XII, ad opera di Benedetto XVI.

Non credo – anzi son certo – che il Santo Padre Pio XII, che del necessario rinnovamento liturgico, culminato nel Concilio Vaticano II, fu iniziatore consapevolissimo e sapientissimo (basti pensare all’epocale enciclica “Mediator Dei” e alle molteplici riforme da Lui volute, come il riordino dei riti della Settimana Santa, la vigorosa riduzione del digiuno eucaristico, la messa vespertina, l’uso del volgare nella Liturgia della Parola etc.), il servo di Dio Pio XII, dicevo, non avrebbe approvato se, nella modesta riflessione ch’io propongo, io ignorassi l’odierna memoria liturgica, che è quella della Vergine e martire siracusana S. Lucia, gloria della terra di Sicilia, ma santa universalmente venerata e amata.

Lucia. Poco sappiamo di lei, ma già il suo bel nome dice tutto e ci riporta immediatamente a Colui che solo è luce – “io sono la luce del mondo”, così proclamò Gesù di se stesso – luce senza tramonto, giorno inestinguibile e a lui, a Cristo, la Vergine siracusana intese interamente consacrarsi, offrendogli il dono della propria purissima verginità e quello della stessa vita, ricordando col suo medesimo nome la verità che l’apostolo Paolo proclama e che esprime una identità e un programma di vita per i cristiani: “filii lucis estis”.

Lucia, bellissima fanciulla di Siracusa, è fidanzata ad un ricco giovane concittadino, ma volendosi consacrare a Cristo scioglie il fidanzamento ma il fidanzato non si rassegna e la denuncia al proconsole romano perché cristiana. Le vicende del suo martirio – ella, fragile fanciulla, che pur rimane ferma come torre che non crolla di fronte a chi voleva trascinarla nella turpitudine, ed esala infine, dopo atroci sofferenze, l’anima sua luminosa – ci comunicano verità per noi cristiani grandiose e sempre attuali.

Per Cristo e per la sua Chiesa vale la pena di tutto giocare, compresa la vita.

Vi è una sfera e un dominio riservato invalicabile: quello della coscienza che nessuno può e deve violare, nemmeno lo Stato, nemmeno Cesare, i cui diritti, legittimi, trovano un limite e una qualifica in quelli prioritari dello spirito, cioè nei superiori diritti di Dio: donde il rifiuto di Lucia di sacrificare agli idoli e la potente riaffermazione del primato di Dio e della libertà interiore, che costituisce l’elemento più alto della dignità della persona umana proclamata dal Vangelo.

In una società che commercializza il corpo, e che ha smarrito il senso del peccato e financo lo irride, la Vergine siracusana ci richiama alla possibilità e al dovere della mortificazione, del sacrificio, del rispetto della propria persona e della propria coscienza.

Santa Lucia, “luce gentile di Dio” – per far nostra l’immagine di Newman – santa Lucia si fece e permane nella Chiesa, specchio tersissimo che permette alla santità di Dio, quel Dio che è Luce (I Gv.1, 5), di rinfrangersi ed espandere il suo fulgore, che dirada le tenebre che sono segno di ignoranza, di errore, di morte. Luce contro le tenebre, che vuol dire: amore contro odio, grazia contro peccato, vita contro morte. “Abbandonate le opere delle tenebre e indossate le armi della luce” (Rm 13; 12); voi siete luce…. Conducetevi da figli della luce… il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità”(Ef. 5, 8), insegna l’apostolo Paolo.

E il suo nome dolcissimo – presente sin dalla più remota antichità cristiana dei primissimi libri liturgici – sia per noi, memoria, promessa, impegno di purezza, di coraggio, di invitta libertà, di luce interiore, di docile apertura alla illuminazione dello Spirito, di totale appassionato amore allo sposo divino, Cristo Signore e alla sua Chiesa, che è nostra madre amantissima, splendente per il sangue dei martiri e inebriante per il profumo della verginità.

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Non risulta dalla monumentale raccolta dei discorsi e dei vari interventi, che il Servo di Dio Pio XII abbia parlato di S. Lucia, Egli che – pur rivolgendosi a un pellegrinaggio regionale siciliano – aveva definito la Sicilia “terra di antichissima civiltà, ricca di memorabili eventi storici, feconda non solo di beni di natura, ma anche madre e ispiratrice di alti ingegni e di spiriti eletti, la cui popolazione, buona ed espansiva come il mite clima di quell’isola incantevole, ha saputo essere, al tempo stesso nel corso dei secoli forte come le sue rocce, ardente nella difesa delle sue giuste libertà, come il fuoco dei suoi vulcani…”. E lo stesso Pontefice, illuminando da Castel Gandolfo, la Statua di S. Agata a Catania con accenti vibranti, esaltò di Agata “la fede incrollabile, la eroica fortezza, la passione per Gesù Cristo”.

E il Servo di Dio alla Verginità e al Martirio, e al loro strettissimo rapporto, aveva dedicato memorabili parole. Egli che dei Martiri nutriva un sincero culto, avendo essi, col loro sangue fecondato Roma, fondamento visibile della Chiesa cattolica. E la Verginità – nell’insegnamento di Papa Pacelli – diede una forza spirituale a tante anime capace di condurle fino al martirio. E fu proprio Pio XII a canonizzare Maria Goretti, l’umilissima fanciulla dell’Agro Pontino che per difendere la propria verginità aveva affrontato il martirio e a proporla quale esempio di eroica fortezza alla gioventù.

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Commemoriamo oggi – con esemplare puntualità ascrivibile allo zelo indefesso del Comitato – il X° anniversario del riconoscimento ufficiale delle virtù eroiche e della conseguente venerabilità di Eugenio Pacelli.
Già nel lontano 1964 inaugurando in S. Pietro la statua di Pio XII, potentemente e drammaticamente espressiva dovuta allo scultore siciliano Francesco Messina, così si esprimeva Paolo VI: “Noi fummo testimoni ammirati…dell’assoluta dedizione al suo apostolico ufficio, da lui compreso e meditato con insonne coscienza; testimoni della mitezza dell’animo suo…testimoni della sua inappuntabile pietà religiosa, non troppo propensa per verità alle celebrazioni esteriori del culto, ma rivolta piuttosto a intime effusioni ed a personale osservanza; testimoni ancora dell’incomparabile vigore del suo ingegno, della eccezionale potenza della sua memoria, dell’ammirabile versatilità del suo spirito, della sua fenomenale resistenza al lavoro nonostante le esili membra e la gracile salute; testimoni della rara sua capacità ad avvertire ed a curare le piccole cose relative alla perfezione sostanziale e formale del suo lavoro, con la simultanea e sempre vigilante attenzione alle grandi cose, in cui era impegnata la sua attività… Non si potrà imputare a viltà, a disinteresse, a egoismo del Papa, se malanni senza numero e senza misura devastarono l’umanità. Chi sostenesse il contrario, offenderebbe la verità e la giustizia…”.
Continuava ancora il Santo Pontefice Paolo VI:
“Non mancò a lui il cuore per far suo il dramma di iniquità, di dolore e di sangue del mondo straziato in guerra ed invasato dal furore del totalitarismo e dell’oppressione…”
E così concludeva:
“Ricordarlo è pietà, riconoscerlo è giustizia. Seguire gli insegnamenti e gli esempi sarà conforto. E ripensarlo a noi vicino, ancora amico, ancora maestro, ancora padre, nella Comunione dei Santi, sarà per noi tutti non fallace speranza”.

Papa Benedetto XVI, nel 2008 coglieva la cifra della santità di Eugenio Pacelli come il “continuo sforzo e la ferma volontà di donare se stesso a Dio senza risparmio…”
“Tutto nasceva – così diceva Benedetto XVI, che l’anno successivo avrebbe riconosciuto l’eroicità delle virtù di Papa Pacelli – dall’amore per il Suo Signore Gesù Cristo e dall’amore per la Chiesa e per l’umanità. Egli infatti era innanzitutto il sacerdote in costante ed intima unione con Dio, il sacerdote che trovava la forza per il suo immane lavoro in lunghe soste di preghiera davanti al santissimo Sacramento, in colloquio silenzioso con il suo Creatore e Redentore. Da lì traeva origine e slancio il suo Magistero, come d’altronde ogni altra sua attività”.
L’autentica radice del suo altissimo senso del dovere “è la ferma volontà di servire la Chiesa, la Sposa di Cristo, da lui amato sopra ogni cosa. A Cristo infatti egli ha dato la sua giovane vita proprio per poter lavorare con Lui per il Regno di Dio. Egli vuole essere l’umile servitore di Cristo nella Chiesa perché nella Chiesa Cristo continua la sua missione, la sua opera di salvezza, al sua cura per l’umanità sofferente e bisognosa della paterna misericordia di Dio. Il dovere è dunque vissuto da Eugenio Pacelli come un servizio di amore”.

Ci chiediamo: Fu martire Pio XII?
Certamente il suo fu il martirio del dovere, l’assolvimento del dovere del suo supremo ministero, del quale aveva altissima consapevolezza sino a sacrificare le componenti della sua raffinata e umanissima sensibilità, non priva talora di vibrazioni anche romantiche, laddove Egli ravvisasse il pericolo che potesse risultare appannata la dimensione universale e soprannaturale del suo ufficio, quasi una sorta di auto-controllo esercitato in maniera incessante, come notato da A. Tornielli nella biografia dedicata a Eugenio Pacelli.
Ma può esistere anche un’altra forma di martirio – lo dico senza indulgere a facile e sbrigativa apologetica – che è quello, postumo, della memoria, laddove si assiste ad una ingiusta, sovente calunniosa ‘damnatio’ di Papa Pacelli, il che confligge coi più basilari principi ed elementi di incontrovertibile verità storica.

Per una felice coincidenza, la celebrazione odierna si tiene nel giorno stesso in cui si ricorda il 50° anniversario dell’ordinazione sacerdotale del nostro Sommo Pontefice, Papa Francesco.
Non può quindi mancare nella nostra preghiera l’intenzione per Lui, che ha manifestato la sua più alta stima nei confronti di Papa Pacelli, disponendo che il 2 marzo 2020 vengano aperti gli Archivi Vaticani per quel Pontificato.
Nel discorso del 4 marzo 2019, Papa Francesco richiamava “la figura di quel Pontefice che si trovò a condurre la barca di Pietro in un momento fra i più tristi e bui del secolo ventesimo, agitato ed in tanta parte squarciato dall’ultimo conflitto mondiale, con il conseguente periodo di riassetto delle nazioni e la ricostruzione post bellica”, figura “opportunamente rivalutata ed anzi posta nella giusta luce per le sue poliedriche qualità: pastorali, anzitutto, ma anche teologiche, ascetiche, diplomatiche”.
Concludendo il suo discorso, il Santo Padre Francesco sottolineava, con fine analisi psicologica, il dramma in cui si era trovato il suo Predecessore, i momenti da lui vissuti “di gravi difficoltà, di tormentate decisioni, di umana e cristiana prudenza, che a taluni poteva apparire reticenza, e che invece furono tentativi, umanamente anche molto combattuti, per tenere accesa, nei periodi di più fitto buio e crudeltà, la fiammella delle iniziative umanitarie, della nascosta ma attiva diplomazia, della speranza in possibili buone aperture dei cuori”.
L’omaggio di Papa Francesco, che si unisce a quello dei suoi immediati Predecessori, al Venerabile Pio XII, ma prima ancora alla verità storica ed alla giustizia, conferma il continuo giudizio della Chiesa, dei Pastori e dei fedeli, auspicio di desiderati traguardi.

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