Intervista al Prof. Guiducci: «Pio XII. Defensor Civitatis»

foto4Pubblichiamo di seguito l’intervista al Prof. Guiducci, storico della Pontificia Università Salesiana, in merito al ritrovamento, in Francia, di nuovi documenti sul ruolo di Papa Pio XII nei mesi precedenti alla liberazione di Roma dall’occupazione nazista, nel giugno 1944. Tra le altre corse, emerge il lavoro che il Pontefice si preoccupò di compiere a tutela delle donne della Ciociaria dalle violenze militari, intervenendo pure per prevenire ulteriori stupri.

Prof. Guiducci, che avvenne nel maggio del 1944?
In Italia centrale gli alleati tentavano di sfondare la linea Gustav. Questa barriera di fortificazioni passava anche per Montecassino, ove si trova il celebre monastero benedettino (che fu bombardato). L’esercito del Terzo Reich resistette ad oltranza. Ci furono quattro battaglie. E si rese necessario pure uno sbarco alleato a Nettunia (l’attuale area di Anzio e Nettuno).

Perché Pio XII era profondamente preoccupato?
Perché i nazisti restavano posizionati a Roma. Kesserling manteneva il suo comando all’interno del monte Soratte, ma le sue truppe per arrivare al fronte passavano necessariamente per l’Urbe. La città era quindi la retrovia della linea di combattimento. Vi erano anche depositi di munizioni e vari centri operativi. Tale situazione, in caso di arretramento tedesco, faceva pensare a un possibile scontro militare all’interno di Roma. Si ricordi, al riguardo, che una prima battaglia (con morti e feriti) era già avvenuta (8-10 settembre 1943) e che diversi furono i bombardamenti sulla capitale e nella zona dei Castelli. Si registrarono centinaia di morti negli stessi edifici della Santa Sede a Castelgandolfo.

Come agì il Papa?
Per Pio XII la città doveva essere difesa da nuove offese belliche. Attraverso canali riservati attivò contatti con gli alleati e con la Wehrmacht. L’iniziativa fu tutta in salita. I comandi alleati erano convinti che l’esercito del Terzo Reich non avrebbe mutato strategia (dietro la Gustav era stata costruita anche la linea Hitler per bloccare nuovamente i nemici dell’Asse). E i responsabili della Wehrmacht non si dimostrarono di fatto sensibili agli appelli pontifici. Il loro problema restava quello di contenere la pressione alleata per dare tempo all’Organizzazione Todt di completare le fortificazioni sulla linea Gotica (a nord). Si spiega così anche la forte resistenza a Nettunia (per evitare un accerchiamento). La linea Hitler tenne fino al 24 maggio del 1944.

Poi sorsero ulteriori problemi…
Sì. Gli alleati sfondarono la Gustav grazie all’azione dei francesi. Questi, però, utilizzarono truppe del nord Africa, i “marocchini” (in realtà operarono anche algerini, tunisini e senegalesi). Queste, dopo la vittoria, si resero protagoniste di stupri di massa a Eusonia, Esperia (centinaia di casi), Pico, Lenola, San Giovanni Incarico… Alla fine si arriverà a una cifra di alcune migliaia. Tale dato include donne e uomini, sacerdoti e suore, bambini e anziani.

Chi difese in quel momento la popolazione?

I sacerdoti del posto. Spicca qui la figura del parroco di Esperia. Si chiamava don Alberto Terilli. Nascose tre donne in sacrestia. Alcuni goumiers irruppero comunque nella chiesa. Sfondarono la porta della sacrestia e violentarono le donne. Il prete, invece, fu trascinato in piazza. Subì violenza per una notte. E morì dopo due giorni per gli oltraggi ricevuti.

Qualcuno ha scritto che il Vaticano, informato tardi, non fece granché per fermare quegli orrori.
Questo non è esatto. La Santa Sede venne informata da diversi ambienti del basso Lazio, specie da vari sacerdoti e religiosi (don Augusto Lombardi, padre Ambrogio Marafiota, don Giuseppe De Filippi…) che avvisarono il proprio vescovo, i superiori, e che raggiunsero alti ecclesiastici vaticani nati pure loro in Ciociaria. Ricordo qui il cardinale Domenico Iorio (1867-1954), Prefetto della Congregazione dei Sacramenti. Appena arrivarono i primi drammatici messaggi si pose un problema: come fermare delle truppe scatenate (migliaia di persone)? Pio XII decise di intervenire immediatamente ordinando di seguire più strade.

Quale fu il canale più importante?

Il primo canale si identifica con lo stesso Pio XII. Il Papa, sulla questione delle marocchinate, riunì più volte i suoi più diretti collaboratori, volle essere continuamente aggiornato, pregò insistentemente gli alleati di non far entrare a Roma le truppe provenienti dal nord Africa (non fu ascoltato; solo la zona di Castelgandolfo venne interdetta ai marocchini). Il 18 giugno del 1944 ricevette in udienza il generale Charles De Gaulle (1890-1970). Questi mostrò vivo interesse e promise d’intervenire, ma tacque sul fatto che aveva fatto visita in precedenza ai reparti francesi presenti proprio nelle zone degli stupri. Comunque, De Gaulle interagì poi con Juin e con il generale Augustin Guillaume, comandante delle truppe francesi di montagna.

Un secondo canale?
Certamente fu il cardinale Eugène Tisserant (1884-1972). Era francese. Conosceva Juin. Doveva prendere immediati contatti con quest’ultimo. Io ho ritrovato, appunto, le lettere intercorse tra Tisserant e Juin. Sono conservate in Francia da Hennequin Paule a Mas Galangau (Montferrer). Questa anziana signorina è la pronipote di Tisserant. Aveva accudito l’alto prelato quando questi lavorava a Roma. Fu lei a ricevere l’intero archivio privato del cardinale. Si tratta di carte che non si trovano dunque nell’Archivio Segreto Vaticano, e neanche nell’opera di undici volumi dal titolo: Actes et Documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale. A Mas Galangau sono tutelati anche documenti di estremo interesse storico riguardanti la tutela dei profughi attivata da Pio XII attraverso Tisserant.

Che emerge dai documenti Tisserant?
La volontà di Pio XII di fermare le violenze e di prevenire possibili nuovi drammi. Tisserant dovrà scrivere due volte a Juin. Questi, un po’ ammette, un po’ promette di intervenire, un po’ cerca di sgonfiare. Il generale francese è convinto di aver dato spiegazioni esaurienti. Non sarà così. Il Papa, attraverso la Segreteria di Stato, farà trasmettere da Tisserant un terzo dossier di denunce con due allegati. Ci sarà anche un fatto importante. Quando i francesi festeggeranno a Siena liberata l’annuale festa della loro Repubblica, Tisserant sarà invitato ufficialmente da Juin, ma Pio XII non autorizzerà il cardinale a lasciare il Vaticano. Dopo le tragedie in Ciociaria non c’era nulla da festeggiare.

Altri canali vaticani?
La Santa Sede ebbe contatti con Maurice Couve de Murville (rappresentante a Roma del governo provvisorio di Algeri). Questi scrisse a Juin. Non mancarono poi messaggi e incontri con esponenti del governo italiano. Il capo di quest’ultimo, Ivanoe Bonomi (1873-1951) scrisse all’ammiraglio Ellery Wheeler Stone, presidente della Commissione Alleata di Controllo: “Già precedentemente questo governo ha segnalato… le malefatte commesse dalle truppe marocchine e ha avuto affidamento che sarebbe stato fatto il possibile, dando anche i dovuti esempi, per evitarle. Purtroppo le violenze però continuano. Dal 2 al 5 giugno nel territorio della provincia di Frosinone le truppe francesi marocchine hanno consumato 396 violenze carnali, 13 omicidi, 250 rapine, 303 furti”. Il ministro degli Esteri Alcide De Gasperi scrisse a Tisserant. Evidentemente tutto era reso difficile dal fatto che fino a poco tempo prima l’Italia era stata alleata della Germania.
Comunque, in difesa della popolazione italiana, la Segreteria di Stato Vaticana mosse propri fiduciari: mons. Arthur Hughes ebbe un colloquio riservato con il tenente colonnello Eugène comte de Salis (dei servizi segreti inglesi), altri incontrarono il ministro francese Guérin, Tardini scrisse all’allora nunzio in Francia Angelo Giuseppe Roncalli. Mentre si estendeva questa manovra, si utilizzò anche l’”Osservatore Romano”.

Quale fu il ruolo dell’”Osservatore Romano”?
L’”Osservatore” (es. 28 e 30 luglio 44, 4-7-8 ottobre 44) denunciò nuovi episodi di violenza ed espresse aperte condanne morali. Il giorno 28 luglio 44 informò sulle tragiche violenze consumate da soldati marocchini contro alcune donne, salite su un treno a Ciampino. A seguito di quel dramma, lungo il tratto ferroviario Roma-Cassino (a 25 chilometri da Roma), fu rinvenuto il cadavere di una donna. Accanto, c’erano quattro donne e un bambino in gravissime condizioni. I sopravvissuti furono ricoverati d’urgenza presso l’ospedale San Giovanni. Ma una delle tre donne morì. Cessò di vivere anche il bambino.
Due giorni dopo il quotidiano non ebbe remore a scrivere che “da parte ufficiale non abbiam visto -o ci è sfuggito- né deplorazione, né assicurazioni in proposito”. Nel numero del 4 ottobre 44 si trova scritto: “Le truppe marocchine venute in Italia con gli Alleati, non l’hanno lasciata -come forse pensano i più- assieme alla maggior parte delle truppe francesi allorché furono dislocate da questo su altri fronti. I marocchini sono accampati tutt’ora in alcune località delle province di Roma, Littoria, Napoli, Salerno e Trapani, ove rendono per così dire croniche purtroppo quelle loro violenze che, anche ove trascorrevano, come una folata di tempesta, lasciavano sempre tracce gravissime”. Nello stesso articolo si alza il tono di voce: “È veramente tempo che si risolva e finisca una simile condizione di cose. La quale ha addirittura dell’assurdo e per i princìpi e fini cui si ispirano le forze Alleate e per la nessuna ragione militare o politica di questa permanenza in terra altrui di truppe indisciplinate, indisciplinabili e quindi inservibili a qualsiasi scopo”.

La situazione era quindi gravissima…
Sì. Le truppe provenienti dal nord Africa commettevano stupri e omicidi ovunque erano posizionate, anche nell’alto Lazio e in Toscana: Grosseto, Val d’Orcia, Arcidosso, Portoferraio, Castel del Piano, Monticello Amiata, Sasso Ombrone… Nell’isola d’Elba gli stupri furono più di duecento. Colpiti anche carabinieri e partigiani (ad es. alcuni elementi della brigata garibaldina “Spartaco Lavagnini”). Era urgentissimo allontanare i “marocchini” dall’Italia. In Vaticano la tensione era alta. Si pensava, dopo i fatti accaduti presso la linea Gustav, a nuovi possibili drammi collegati alle vicende belliche presso la linea Gotica. La situazione che si viveva nelle Chiese locali rimane ben rappresentata da un episodio. Mons. Mario Toccabelli (1935-1961), arcivescovo di Siena, volle incontrare il generale Juin dopo la liberazione della città toscana. Nel colloquio del 13 luglio 44 non fu diplomatico. Condannò le violenze. E informò il comandante del Corpo di Spedizione Francese che aveva autorizzato una difesa armata nei casolari a rischio di attacchi da parte dei marocchini. Fece anche vedere delle bombe a mano a Juin. Ne fa un cenno lo stesso “Osservatore Romano” del 4 ottobre 44. La posizione dell’arcivescovo è motivata da dati oggettivi: furono, ad esempio, 24 le bambine (dai 12 ai 14 anni) ricoverate all’ospedale di Siena con gravi lacerazioni interne.

Prof. Guiducci, come spiega il silenzio sulle “marocchinate”?
Non tutte le vittime vollero tornare a raccontare a estranei delle situazioni aberranti (impalamenti, crocifissioni, sadismo con i fucili, evirazioni, diffusione sifilide). A livello francese si cercò di portare avanti una linea di mezzo: ammettere con riferimento a taluni casi (con risarcimento), “attenuare” dove possibile, negare in altre situazioni. La giustizia francese emise condanne a morte (casi in flagranza di reato) e alla reclusione (ma gli archivi francesi non possono ancora essere consultati). In realtà il problema più evidente fu legato al trattato di pace con l’Italia del 10 febbraio 1947. L’articolo 76 impegnava il nostro Paese a rinunciare a presentare reclami agli alleati per qualunque situazione avvenuta durante il secondo conflitto mondiale.

Alcuni autori francesi affermano che il generale Juin non firmò alcun proclama mirato a consentire alle truppe indigene due giorni di violenze impunite, come premio in caso di sfondamento della Gustav…
In alcuni testi si riporta un volantino. Non è stato però ritrovato l’originale. Il fatto, però, che nel giugno 44 le violenze ebbero un carattere “di massa”, a differenza di altri comportamenti penalmente rilevanti commessi in seguito, fa pensare a una condiscendenza di organi superiori.

In definitiva, Professore, l’azione di Pio XII fu quindi quella più incisiva…

Sì, certamente. Dalle lettere che ho potuto studiare e da altre fonti storiche (Arma dei Carabinieri, Archivio Vaticano, memorie dei sopravvissuti, resoconti di ricercatori, articoli del tempo…) non emerge una figura inerte, passiva. Il Papa, forte solo di un’autorità morale, riuscì a evitare uno scontro armato nell’Urbe, ottenne alla fine un trasferimento delle truppe del nord Africa, e sostenne i soccorsi spirituali e materiali a favore delle popolazioni martoriate.

Qui il link alle relazioni tenute presso la Curia Generalizia dei Gesuiti nel 70esimo della liberazione di Roma, in un incontro sul ruolo del
Defensor Civitatis in quei tragici mesi.