Morto lo storico inglese che voleva Pio XII fra i Giusti

SirMartinGilbert-255x257Sir Martin Gilbert, biografo di Churchill e docente di Storia dell’Olocausto presso l’University College di Londra, aveva pubblicato un libro sugli «eroi sconosciuti» della Shoah; è scomparso nei giorni scorsi all’età di 78 anni
Il 23 gennaio 2007, alla vigilia della presentazione dell’edizione italiana del libro «I Giusti. Gli eroi sconosciuti dell’Olocausto», il vaticanista Andrea Tornielli aveva pubblicato sulle pagine culturali del
Giornale un’intervista con il Professor Gilber, che di seguito ripubblichiamo, con il consenso dell’Autore.
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Ha settant’anni e ha pubblicato settantadue libri. Sir Martin Gilbert, storico inglese di origini ebraiche, considerato in tutto il mondo uno dei massimi esperti della Seconda guerra mondiale e della Shoah, è anche il biografo ufficiale di Winston Churchill. Gilbert insegna Storia dell’Olocausto presso l’University College di Londra, ha dedicato molta parte della sua esistenza a scartabellare documenti e a verificare testimonianze sulla storia ebraica e nel 2003 ha dato alle stampe un volume dedicato a coloro che nelle varie regioni d’Europa, s’impegnarono nell’azione di salvataggio dei perseguitati dal terrore nazista. Quel libro viene ora pubblicato in Italia: s’intitola I Giusti: gli eroi sconosciuti dell’Olocausto (Città Nuova, pagg. 512, euro 29). In questa intervista con il Giornale, alla vigilia dell’uscita del volume nel nostro Paese, il grande storico inglese affronta uno dei temi più scottanti e dibattuti dalla pubblicistica contemporanea: il ruolo della Chiesa cattolica e di Pio XII durante la Shoah.

Come nasce il suo libro?
«Come storico ebreo, per molto tempo ho sentito il bisogno di far riconoscere pienamente il fatto dell’aiuto cristiano agli ebrei nella seconda guerra mondiale e le storie degli individui che furono coinvolti in quest’azione di salvataggio. Il mio metodo storico riguarda le singole persone come pure i governi: così questo libro è diventata un’’occasione per esaminare le attività e i successi dei Giusti in tutta l’Europa dominata dalla Germania, paese per paese».

Qual è stato il ruolo del Vaticano nei confronti degli ebrei perseguitati durante la seconda guerra mondiale?
«Il Vaticano era preoccupato anzitutto del destino degli ebrei che si erano convertiti al cristianesimo, ma che i tedeschi continuavano a trattare da ebrei e a deportare. Quando però divenne chiara l’entità dei delitti, il Vaticano non solo espresse le sue preoccupazioni per il massacro degli ebrei, ma incoraggiò i rappresentanti pontifici in tutta Europa perché facessero tutto ciò che potevano in favore dei perseguitati. I sacerdoti e i vescovi cattolici hanno agito per salvare gli ebrei in ogni paese in cui le comunità ebraiche erano minacciate, incluse Polonia, Francia e Italia».

Dalle sue ricerche emerge il ruolo di Pio XII? Papa Pacelli sapeva e incoraggiava le attività di aiuto verso i perseguitati oppure ne era all’oscuro, come afferma oggi certa pubblicistica?
«Sono dell’opinione, basata sul materiale che ho pubblicato in questo mio nuovo libro, che Papa Pio XII al contempo sapeva delle persecuzioni e aveva fatto conoscere il suo punto di vista e la sua preoccupazione: i gerarchi che a Berlino erano responsabili delle deportazioni hanno considerato il suo messaggio natalizio del dicembre 1942 come un attacco diretto a loro, ne sono stati allarmati e hanno dato istruzioni ai loro emissari di cercare di contrattaccare. Quanto alla fonte e all’origine del pensiero e dell’azione dei cattolici in favore degli ebrei, la Santa Sede appoggiava e sicuramente anche incoraggiava l’opera dei suoi rappresentanti che erano più attivi nel cercare di salvare gli israeliti perseguitati».

L’azione concreta della Santa Sede ha ottenuto risultati? Quante vite, se è possibile quantificare, sono state salvate?
«In Ungheria, il nunzio pontificio Angelo Rotta condusse uno sforzo diplomatico che salvò più di centomila ebrei. In Francia, la Chiesa cattolica fu attiva nel salvare decine di migliaia di ebrei. In Italia, le chiese e i monasteri furono in prima linea nel soccorrere gli ebrei e quando il dominio tedesco e le SS che organizzavano la deportazione giunsero a Roma, la Santa Sede prese sotto la sua protezione centinaia di ebrei e li accolse in Vaticano, come pure incoraggiò tutte le istituzioni cattoliche a Roma nel dare protezione. Per effetto di queste iniziative, meno di un quarto degli ebrei romani fu preso e deportato».

Lei crede che un appello pubblico contro la deportazione degli ebrei o una scomunica di Hitler avrebbe sortito risultati concreti?
«Io credo che Hitler non sarebbe stato minimamente influenzato da una scomunica papale, eccetto forse che nell’accrescere la persecuzione contro i cattolici entro la sua sfera di dominio, e anche nel tentare di rapire o di uccidere il Papa. Non si deve mai dimenticare che i cattolici in Polonia erano già sotto la più crudele forma di repressione. Il Papa deve aver ritenuto, a mio avviso giustamente, che ogni intervento diretto da parte sua avrebbe avuto conseguenze disastrose nelle forme di rappresaglia e in un intensificarsi della persecuzione. Come ex cattolico, che spesso parlava con sdegno della sua educazione cattolica, Hitler non avrebbe avuto altra opinione sulla scomunica tranne che vedervi una conferma dei suoi sentimenti anticattolici coltivati fin dall’infanzia».

Come era considerato Pio XII da Hitler e dai suoi gerarchi?
«Lo consideravano come un nemico che, nel suo radiomessaggio del Natale 1942, aveva impegnato se stesso, e la sua Chiesa, nel tentativo di contrastare il tragico destino degli ebrei perseguitati».

Che cosa ne pensa della continua campagna di accuse contro Papa Pacelli che prosegue ininterrottamente fin dagli anni Sessanta?
«È sempre più facile accusare chi non c’entra invece di chi ha davvero perpetrato un crimine. L’indignazione purtroppo foraggia un certo tipo di storiografia. È un peccato che gli archivi vaticani, sebbene parzialmente aperti, non lo siano ancora pienamente per quanto riguarda le comunicazioni del Papa coi suoi nunzi in tempo di guerra. Questa mancanza di apertura totale ha alimentato purtroppo sospetti e accuse. Spero che ciò si possa correggere prima che io muoia (ho compiuto settant’anni lo scorso ottobre), così che la mia impressione sull’attivo appoggio di Pio XII verso gli atti di salvataggio possa essere confermata».

Qual è stato il ruolo dei «gentili» italiani nella salvezza degli ebrei? La presenza capillare della Chiesa in Italia ha contribuito in qualche modo e se sì, come?
«La storia dei Giusti italiani, a cui io ho dedicato un capitolo del mio nuovo libro, è una delle storie stimolanti della seconda guerra mondiale. Nel mio libro io fornisco molti esempi di tentativi di salvataggio e del coraggio di singoli italiani, chierici e laici. La Chiesa cattolica fu al centro di quest’’opera di salvataggio di vite ebraiche. La definirei un’’opera santa. L’ultima volta che sono stato a Roma, nove mesi fa, ho pensato che sarebbe giunto il tempo di apporre delle targhe esplicative sugli edifici dove gli ebrei furono nascosti e salvati».