L’impegno della Santa Sede per i profughi dal secondo dopoguerra ad oggi

Pubblichiamo di seguito il testo dell’intervento del Cardinale Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, Antonio Maria Vegliò, presentato al Convegno La Santa Sede, i profughi e i prigionieri di guerra: l’opera di Papa Pacelli, organizzato dal Comitato Pacelli e dal Centro Astalli di Roma.

Cattura

 Il XX secolo è stato chiamato “il secolo dei rifugiati”. Questo rivela una piaga aperta sul fianco dell’umanità, una piaga che non cessa di allargarsi. La sollecitudine della Chiesa per i rifugiati è stata, e rimane, da una parte un’affermazione del diritto alla vita, alla pace, alla protezione e all’assistenza, dall’altra, un’azione caritativa e pastorale.

Nel 2014, il numero dei rifugiati ha superato i 50 milioni di persone ed è stata la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale. Partendo da quel periodo storico, l’intervento di oggi vuole ripercorrere l’opera svolta dalla Santa Sede, con particolare riguardo all’azione dei Pontefici, a favore dei profughi e dei rifugiati, quindi, dal secondo dopoguerra fino ai nostri giorni.

Papa PIO XII

Durante il suo Pontificato, Pio XII (dal 1939 al 1958), in concomitanza con lo scoppio della seconda guerra mondiale, cercò di adoperarsi per porre fine all’orrore tentando anche di mantenere l’Italia fuori dal conflitto, ma purtroppo con vani sforzi. La minaccia del nazionalsocialismo tedesco e del comunismo, le persecuzioni naziste e fasciste, dal 1930 al 1945, posero la Chiesa davanti al delicato compito di offrire protezione e assistenza. Già nell’autunno 1944, nacque, per volontà di Pio XII, la Pontificia Commissione Assistenza per i rifugiati, per la distribuzione di aiuti ai reduci ed ex internati provenienti dalla Germania e dalla Russia.

Con l’Enciclica Communium interpretes dolorum, del 15 aprile 1945, Pio XII si espresse per la pace tra i popoli e anche per alleviare le sofferenze dei rifugiati. Dopo la guerra, Papa Pacelli sollecitò la solidarietà e la condivisione degli oneri, in particolare da parte dei Paesi meno colpiti economicamente, per il reinsediamento dei rifugiati di fronte al pericolo dei rimpatri forzati.

Nel 1949, poi, nell’Enciclica Redemptoris nostri, manifestò la sua preoccupazione per i rifugiati palestinesi.

Il primo agosto 1952, nella Costituzione Apostolica Exsul Familia, considerata ancora oggi la “magna charta” della pastorale migratoria, il Pontefice riaffermò il diritto fondamentale della persona ad emigrare e propose, sotto molti aspetti, l’Italia come modello di riferimento, di fronte ad un fenomeno planetario, per l’assistenza spirituale ai migranti (nel 1952, circa 20 milioni di italiani sono emigrati all’estero).

Fino agli anni ‘50, il problema dei rifugiati appariva come una realtà delimitata geograficamente all’Europa. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) fu creato nel 1950, con mandato simbolicamente rinnovato ogni cinque anni, quasi a sottolineare l’anomalia e l’urgenza del fenomeno dei rifugiati. Un anno dopo, la Santa Sede divenne membro del Comitato Consultivo istituito presso l’ACNUR, ora Comitato Esecutivo.

La fine del secondo conflitto mondiale lasciò sullo scenario europeo, segnato da lutti e distruzioni, una moltitudine di persone, che nel corso della guerra erano state deportate o avevano dovuto abbandonare il loro Paese (circa sette milioni di persone nella sola Germania occidentale). Nel concreto da quell’esperienza umanitaria trovò origine l’approccio delle società contemporanee alla questione dei profughi e da lì vennero poste le basi del regime internazionale per i rifugiati ancora oggi vigente. Proprio allora si avvertì la necessità, non solo di rispondere alla ricostruzione materiale ed economica dell’Europa, ma di creare un’organizzazione internazionale per la protezione dei rifugiati, basata su principi di diritti umani e d’asilo. Si avvertì l’urgenza di proteggere e di affermare la dignità umana, con la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, del 1948, con strumenti diretti alla protezione dei rifugiati e, particolarmente, con la Convenzione sullo statuto dei rifugiati, del 1951, ed il Protocollo del 1967.

La Santa Sede, partecipe attiva ai lavori per la stesura della Convenzione, propose con successo diverse proposte, tra cui la necessità di favorire l’unità delle famiglie e la solidarietà internazionale per un effettivo diritto d’asilo e lo fece anche con la firma della Convenzione, del 21 maggio 1952 a New York, e con la ratifica, il 15 marzo 1956 con Chirografo di Papa Pio XII, del 28 febbraio precedente. La Convenzione di Ginevra del 1951 rappresentò il primo accordo firmato nella sede dell’ONU e la prima visita ufficiale di un suo Rappresentante alle Nazioni Unite promosse il bene dei rifugiati e degli apolidi. Sempre nel 1951, per volontà della Santa Sede, venne creata la Commissione Cattolica per le Migrazioni (ICMC) che ancora oggi si distingue a livello internazionale per la sua dedizione nel campo delle migrazioni.

L’8 giugno 1967, la Santa Sede fu il primo Stato a firmare il Protocollo del 31 gennaio 1967, con il quale venne eliminato il limite temporale del 1° gennaio 1951, posto nella Convenzione, e le limitazioni geografiche per la sua applicazione.

Papa Giovanni XXIII

Dopo Papa Pio XII, Papa Giovanni XXIII (1958-1963) rivolse la sua attenzione alle sofferenze e ai diritti dei rifugiati nell’Enciclica Pacem in Terris (nn. 57-58), dell’undici aprile 1963, e sollecitò gli Stati a firmare la Convenzione del 1951. Il Concilio Ecumenico Vaticano II e successivi interventi del Magistero affrontarono questo fenomeno, considerato “un segno dei tempi”, con una serie di specifiche risposte pastorali. Il Pontificato di Papa Roncalli fu breve ma San Giovanni XXIII non perse occasione di levare la sua voce per la protezione dei rifugiati. Ricordiamo il Suo Radiomessaggio in cui espresse il pieno sostegno all’iniziativa delle Nazioni Unite di celebrare “l’Anno Mondiale del rifugiato”, dal giugno 1959 a giugno 1960.

Papa Paolo VI

La Santa Sede negli anni ’60 e ’70, quindi, durante il Pontificato di Paolo VI (1963-1978), partecipò a tutte le iniziative che le Organizzazioni Internazionali promossero per la protezione dei rifugiati e la difesa del principio di non respingimento dei rifugiati (il principio di non-refoulement). Ne cito solo alcune. Ad esempio, la Conferenza di Arusha (ICARA I), nel 1979, per i rifugiati africani, la Conferenza di Ginevra (ICARA II), nel 1984, per la cura di circa 5 milioni di rifugiati africani, la Conferenza di Oslo, del 1988, specifica per i rifugiati dell’Africa australe. Ricordiamo la Tavola Rotonda degli esperti asiatici sulla protezione internazionale dei rifugiati e degli sfollati, nel 1980, a Manila, il Colloquio sulla protezione internazionale dei rifugiati in America Centrale, Messico e Panama (Cartagena, 1984), la Conferenza sui rifugiati centroamericani (Città del Guatemala, 1989).

I numerosi interventi di Papa Paolo VI ebbero a cuore, come quelli dei suoi predecessori, il dovere della Chiesa di essere presente in qualsiasi luogo o situazione in cui gli esseri umani soffrono; tali interventi sollecitarono pure una presa di posizione da parte degli Stati atta ad attuare il reinsediamento e ad assicurare diritto di asilo ai rifugiati. Papa Montini era sensibile al tema dei rifugiati per i quali si era adoperato anche in modo concreto negli anni della Guerra, come Sostituto della Segreteria di Stato. Fu lui il primo Papa a viaggiare in aereo, il primo ad attraversare i continenti.

Gli anni del suo Pontificato furono segnati da enormi spostamenti di persone, in tutti e cinque i continenti, di intere popolazioni, di singoli e famiglie. Si contavano milioni di rifugiati, dall’Africa al Medio Oriente, al Sud Est asiatico. Ricordiamo ad esempio,  i campi di rifugiati della Malesia, dell’Indonesia, della Tailandia (dove la situazione per molti campi di rifugiati rimane tuttora invariata e si protrae da circa 30 anni). Pensiamo ancora ai boat-people vietnamiti e cinesi, e a tanti altri.

Papa Montini, nell’Enciclica Populorum progressio del 1967, si rivolse alla solidarietà internazionale per proteggere la dignità di tutti gli esseri umani. Numerosi i suoi appelli alle istituzioni ecclesiali e civili della Chiesa e agli Stati, per soluzioni di asilo sicure per i rifugiati, tra cui il reinsediamento in un terzo Paese.  Con parole accorate ci tenne a specificare che “Non basta ricordare i principi, affermare le intenzioni, sottolineare le stridenti ingiustizie e proferire denunce profetiche: queste parole non avranno peso reale se non sono accompagnate in ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria responsabilità e da un’azione effettiva” (Lettera Apostolica Octogesima Adveniens, 14 maggio 1971, n. 48: AAS LXIII (1971) 437-438).

Nel 1970, il Pontefice istituì la “Pontificia Commissio de spirituali migratorum atque itinerantium cura”, elevata poi a Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti nel 1988, con la promulgazione della Costituzione Apostolica Pastor Bonus. Il Pontificio Consiglio è uno “strumento nelle mani del Papa” (P.B., Proemio, n.7), a cui è affidata, tra l’altro, la cura pastorale di coloro “che sono stati costretti ad abbandonare la propria patria o non ne hanno affatto”. Nel 1971, spinto “dal dovere della carità ad incoraggiare l’universale famiglia umana lungo la via della reciproca e sincera solidarietà”, Papa Paolo VI istituì il Pontificio Consiglio Cor Unum, per testimoniare la carità di Cristo e promuovere iniziative di carità e di fraterno aiuto delle istituzioni cattoliche per situazioni di urgente necessità e finalizzate al progresso umano.

Giovanni Paolo II

Durante i 27 anni del suo Pontificato, incessanti furono gli appelli che questo Pontefice, ora Santo, rivolse alla Comunità Internazionale per affermare la dignità della persona umana e le libertà fondamentali.

Nel 1981, appena pochi anni dopo l’inizio del Pontificato, Giovanni Paolo II affermò che ciò che la Chiesa intraprende a favore dei rifugiati è parte integrante della sua missione nel mondo. Ricordiamo alcuni documenti del suo Magistero per la cura pastorale dei migranti e dei rifugiati:

-“Verso una Pastorale per i Rifugiati”, del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, del 1983;

– “I Rifugiati: una sfida alla solidarietà”, del 1992, curato dal suddetto Dicastero insieme con il Pontificio Consiglio Cor Unum. Il testo, inviato alle Conferenze Episcopali del mondo, presentato e poi adottato dalle Nazioni Unite, riconosce il rifugiato come “un soggetto di diritti e di doveri” e non bisognoso di mera assistenza; propone, inoltre, l’estensione della protezione anche a quei rifugiati che vengono chiamati “de facto” (ad esempio vittime di guerre civili, di disastri naturali o causati dall’uomo) richiamando l’attenzione all’evoluzione della definizione di rifugiato entro cui solo un numero ristretto di rifugiati trova posto. Vi si legge che “la Chiesa offre il suo amore e la sua assistenza a tutti i rifugiati senza distinzione” (n. 25), e “la responsabilità di offrire accoglienza, solidarietà e assistenza ai rifugiati è innanzitutto della Chiesa locale. Essa è chiamata ad incarnare le esigenze del Vangelo andando incontro, senza distinzioni, a queste persone nel momento del bisogno e della solitudine. Il suo compito assume varie forme: contatto personale; difesa dei diritti di singoli e di gruppi; denuncia delle ingiustizie che sono alla radice del male; azione per l’adozione di leggi tali da garantire l’effettiva protezione; educazione contro la xenofobia; istituzione di gruppi di volontariato e di fondi d’emergenza; assistenza spirituale” (n. 26).

– la “Carta giubilare dei Diritti dei Profughi” del 2000, frutto di una  collaborazione con l’ACNUR e di altri organismi dediti all’assistenza di migranti forzati.

         Nel 2001 la Santa Sede ancora una volta invocò la responsabilità globale verso i rifugiati nel corso di una Conferenza Ministeriale dei 140 Stati firmatari della Convenzione del 1951 sullo Status dei Rifugiati. Il Rappresentante della Santa Sede affermò in quella occasione che “è nostro compito fare della solidarietà una realtà. Ciò implica accettazione e riconoscimento del fatto che noi, come un’unica famiglia umana, siamo tutti interdipendenti. Questo ci chiama alla cooperazione internazionale a favore dei poveri e dei deboli quali nostri fratelli e sorelle … Un’effettiva responsabilità e una condivisione degli oneri tra tutti gli Stati sono pertanto indispensabili per promuovere pace e stabilità. Ciò dovrebbe ispirare la famiglia umana delle nazioni a riflettere sulle sfide di oggi e a trovare le necessarie soluzioni in uno spirito di dialogo e mutua comprensione. La nostra generazione e quelle future lo domandano affinché i rifugiati e gli sfollati possano beneficiarne”.

         È costante la preoccupazione della Chiesa per i rifugiati e incessante è il suo impegno dimostrato nei numerosi interventi promossi dalla Santa Sede a livello internazionale e in ambiti informali, per lo studio di soluzioni durevoli sulle questioni concernenti i rifugiati, il rispetto dei diritti umani e della dignità dei migranti forzati, nonché sulla condivisione degli oneri e riguardo a una politica migratoria globale finalizzata all’accoglienza condivisa, al problema delle famiglie forzatamente separate nella fuga e alla protezione di categorie vulnerabili, quali  bambini, donne, anziani, disabili.

Benedetto XVI (2005-2013)

Da parte sua, Papa Benedetto XVI si espresse in favore dei rifugiati appena poco più di un mese dopo la sua elezione a Sommo Pontefice, avvenuta nell’aprile 2005, in occasione della celebrazione della Giornata Mondiale del Rifugiato, promossa dalle Nazioni Unite il 20 giugno di ogni anno. Egli sottolineò la “forza d’animo richiesta a chi deve lasciare tutto, a volte perfino la famiglia, per scampare a gravi difficoltà e pericoli”. La Comunità Cristiana, che “si sente vicina a quanti vivono questa dolorosa condizione”, fa del suo meglio per “sostenerli” e manifestare loro “il suo interessamento e il suo amore”. Questo è possibile tramite “concreti gesti di solidarietà, perché chiunque si trova lontano dal proprio Paese senta la Chiesa come una patria dove nessuno è straniero”. I suoi accorati appelli sono stati incessanti, e varie volte li abbiamo ascoltati nelle sue omelie, nella preghiera all’Angelus domenicale per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, o ancora negli incontri di Alto livello.

La solidarietà è legata alla consapevolezza di appartenere ad una sola famiglia umana, qualunque siano le nostre differenze nazionali, razziali, etniche, economiche e ideologiche. Dipendiamo gli uni dagli altri. La solidarietà è frutto di amore e giustizia messe in pratica.

Come aveva affermato Papa Benedetto XVI: “Accogliere i rifugiati e offrire loro ospitalità è per tutti un doveroso gesto di umana solidarietà, affinché essi non si sentano isolati a causa dell’intolleranza e dell’indifferenza”. Questo è stato realizzato dalla Chiesa in molti modi nel corso della storia e ogni occasione e situazione richiedono una risposta adeguata.

Nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2007, Benedetto XVI affermava: “sento il dovere di richiamare l’attenzione sulle famiglie dei rifugiati, le cui condizioni sembrano peggiorate rispetto al passato, anche per quanto riguarda proprio il ricongiungimento dei nuclei familiari … Occorre incoraggiare chi è interiormente distrutto a recuperare la fiducia in se stesso. Bisogna poi impegnarsi perché siano garantiti i diritti e la dignità delle famiglie e venga assicurato ad esse un alloggio consono alle loro esigenze”.

Nella sua Enciclica Caritas in veritate, Benedetto XVI ha dedicato un intero numero (il 62) al tema delle migrazioni nell’ambito dello sviluppo umano. Il Papa ha ricordato, tra l’altro, che: “Nessun Paese da solo può ritenersi in grado di far fronte ai problemi migratori del nostro tempo. Tutti siamo testimoni del carico di sofferenza, di disagio e di aspirazioni che accompagna i flussi migratori. Il fenomeno, com’è noto, è di gestione complessa; …Ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione”.

         Nel mondo d’oggi, la migrazione è cambiata ed è destinata a crescere nei prossimi decenni. La situazione, però, nel corso degli anni si è fatta più complessa e, di conseguenza, si è reso necessario estendere la protezione garantita ai rifugiati anche ad altri gruppi, quali, ad esempio, le persone che fuggono dalla guerra.

         In Africa e in America Latina, nonostante siano stati adottati concetti più ampi di rifugiato, non sono stati inclusi in questa categoria alcuni gruppi, come ad esempio coloro che, pur avendo subito violazioni di diritti umani, non hanno mai abbandonato il loro Paese. Anche questi sfollati hanno bisogno di protezione. Soltanto dopo una più profonda comprensione della loro situazione e delle loro condizioni, sono stati inseriti in programmi appropriati. La persona umana è posta al centro dell’attenzione della Chiesa e dolorose sfide vengono poste dalla tratta di esseri umani. L’attenzione a questa piaga è già di lunga da parte di questo Pontificio Consiglio, in quanto in linea con la dottrina e l’attenzione della Chiesa cattolica in tema di dignità della persona.

Papa Francesco (2013- )

Nel 2013, pochi mesi dopo l’elezione di Papa Francesco, il “Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti” assieme al “Pontificio Consiglio Cor Unum” hanno pubblicato un nuovo documento sulle migrazioni forzate: “Accogliere Cristo nei rifugiati e nelle persone forzatamente sradicate”.  Le ragioni di un nuovo pronunciamento della Chiesa su questo tema sono molteplici. Anzitutto, esso risponde ai mutamenti nella natura della migrazione forzata avvenuti in questi anni, in particolare da quando è stato pubblicato il documento “I Rifugiati, una sfida alla solidarietà”, nel 1992. In secondo luogo, è opportuno tener conto che sono molto diverse le ragioni che costringono uomini e donne a lasciare le loro case. A ciò corrisponde l’inasprimento delle normative di molti Governi in tale materia e, non di rado, anche un certo irrigidimento dell’opinione pubblica. Si impone, pertanto, la necessità di nuova riflessione, anche perché sembra evidente che, nel dibattito politico, a livello nazionale e internazionale, sempre più spesso si adottano misure di deterrenza anziché incentivi per il benessere della persona, la tutela della sua dignità e la promozione della sua centralità. Pare che l’attenzione si ponga soprattutto sulle modalità per tenere lontani profughi e sfollati. Invece di considerare le ragioni per cui sono stati costretti a fuggire, la sola presenza di rifugiati o di persone deportate è avvertita come problema. Tutto questo sta minacciando lo spazio di protezione.

La sensibilità di Papa Francesco per le migrazioni forzate, e in particolare la sua vicinanza ai rifugiati e alle vittime della tratta di persone, che egli ha definito “un crimine contro l’umanità”, “una vergognosa piaga, indegna di una società civile”, è emersa nei suoi accorati appelli già a poche settimane dalla sua elezione. Un segno importante è stato la scelta di incontrare i rifugiati di Lampedusa nel suo primo viaggio fuori dal Vaticano (luglio 2013). Un gesto che ha scosso le coscienze delle persone e delle Nazioni che possono e devono contribuire alla scelta di una politica migratoria comune e dal volto più umano. È ancora viva l’emozione della visita di Papa Francesco qui, ai rifugiati del Centro Astalli, il 10 settembre 2013, di cui ci parlerà, tra l’altro, P. Camillo Ripamonti. Tutti siamo chiamati a seguire la strada che Papa Bergoglio ci indica come una “rivoluzione della tenerezza”, in cui invita a non avere paura di globalizzare la solidarietà per accogliere il povero, il rifugiato, ricordando sempre che “I rifugiati sono la carne di Cristo”.