«É con voi, quasi in volontaria catena, il Nostro cuore». Le parole di Papa Pio XII ai carcerati.

Conoscere ed amare i carcerati, come una madre

Come singole persone, voi dovete conoscere i carcerati ed amarli. Innanzi tutto conoscerli. Per aiutare i carcerati, è infatti indispensabile avere con essi un contatto come da anima ad anima, il quale suppone la comprensione dell’altro in quanto individuo qualificato dalla sua origine, dalla sua formazione, dallo svolgimento della sua vita, fino al momento in cui lo incontrate nella sua cella.

schermata-2016-11-06-alle-11-22-15Occorre poi amarli. Per aiutare realmente il carcerato, bisogna andare verso di lui non solo con idee rette, ma altresì, e forse anche più, col cuore, particolarmente se si tratta d’infelici creature, che mai forse, nemmeno in seno alla famiglia, hanno gustato le dolcezze di una sincera amicizia. Voi seguirete così l’esempio del modello stesso dell’amore comprensivo e devoto senza limiti, quello della madre. Ciò che conferisce alla madre un tale influsso sui suoi figli, anche adulti, anche se traviati o rei, non sono già le idee, per quanto giuste, che ella loro propone, ma il calore del suo affetto e il dono costante di sè stessa, che mai non si stanca, anche se incontra un rifiuto; sa invece pazientare ed attendere, rivolgendosi intanto a Colui al quale nulla è impossibile. È la parola dell’« amore », che in tutti gl’idiomi del mondo è compresa, e che non solleva nè discussione né contraddizione; l’amore, di cui l’Apostolo Paolo ha cantato le lodi nel suo « inno alla carità » della prima Lettera ai Corinti (1 Cor. 13, 1-13).

Ma, per quanto profondo e genuino, tale amore non indulge ad alcuna approvazione del male commesso nel passato, nè incoraggia le volontarie cattive disposizioni che ancora perdurassero, e neppure ammette nell’essere amato alcun compromesso tra il bene e il male. Anche l’ideale amore materno non conosce altra regola che questa. Non esclamerà forse un giorno il Signore come Giudice supremo nell’ultimo giudizio : « Ero carcerato, e veniste da me… Quanto avete fatto a uno dei più piccoli tra questi miei fratelli, l’avete fatto a me »? (Matth. 25, 36.40). Come se avesse voluto dire: « Il carcerato sono io ».

Perdonare, credere, amare

Innanzitutto è necessario un sincero perdono, che le singole persone si accorderanno mutuamente, ma che la stessa società non negherà all’individuo. Non beneficiano forse tutti del perdono di Dio, che a tutti ha insegnato a pregare: « Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori »? (Matth. 6, 12).

In secondo luogo occorre credere al bene che si trova in altri e aver fiducia in lui. La diffidenza inaridisce ogni seme di bontà e, innalzando quasi un muro di cupa segregazione tra il vostro cuore e il suo, impedisce lo stabilirsi di rapporti amichevoli. Quando il figliuol prodigo tornò a lui, il padre non volle riceverlo come un servo, ma come un figlio di casa, nonostante lo sdegno e il lamento del fratello maggiore (cfr. Luc. 15, 22 SS.). Il rinnegamento di Pietro non velò il vero amore di lui agli occhi del Signore, che gli affidò tutto il suo gregge (cfr. Io. 21, 15-17).

In terzo luogo bisogna amare come il Signore ha amato. « Se il Signore ha dato la sua vita per noi », scrive l’Apostolo Giovanni, « anche noi dobbiamo darla per i nostri fratelli » (cfr. 1 Io. 3, 16). L’amore del prossimo si manifesta non solo da uomo ad uomo, ma anche tra la comunità e ciascuno dei suoi membri. Questo amore proteggerà colui, che torna, dai pericoli che lo attendono; se rischia di cedere alla debolezza, lo fortificherà; gli procurerà anche i mezzi di cui ha bisogno per poter mettersi al lavoro nella comunità come suo membro attivo.

Tornare innocenti per collaborare all’opera di Gesù

schermata-2016-11-06-alle-11-24-48Riprovando e rinnegando, ove occorra, nel profondo del vostro cuore, un triste passato, che consumino e disperdano la contrizione e l’amore ; illuminati e sorretti dalla fede a guardare e a sentire le vicende della terra con occhi e spirito di cristiani; voi scoprirete nella stessa vostra condizione presente occasioni preziose e sorgenti sommamente feconde di grandi beni. Quale provvidenziale disegno non potrà compirsi in voi e per voi, se vi rimetterete umilmente e volonterosamente nelle mani di Dio, oggi severe, ma pur sempre benefiche!

Quantunque si fosse operato in voi quasi «un mistero d’iniquità», Noi, consapevoli come siamo della fragilità e della debolezza incommensurabile, che spesso fiacca a morte l’animo umano, comprendiamo il triste dramma, che può avervi sorpresi e coinvolti, per un concorso sventurato di circostanze, non sempre interamente imputabili al vostro libero volere, anche se le leggi umane, per la loro naturale insufficienza, non possono tener conto di tutte le attenuanti, che diminuiscono le responsabilità, nè tanto meno valgono a indulgere a tutte le debolezze. A voi, però, spetta di far sì che si attui nel segreto dell’animo vostro un fulgore di redenzione, analogo a quello operato da Gesù, allorchè, innocentissimo, venne a prendere su di sè le nostre colpe.

E come nel Cielo si fa più festa per un peccatore che si converte, così sulla terra ogni uomo onesto deve inchinarsi dinanzi a colui, che già caduto, forse in un istante di smarrimento, sa poi penosamente redimersi e risorgere.

Non sono più dunque perduti i lunghi giorni trascorsi in cotesti luoghi di pena, ov’è con voi, quasi in volontaria catena, il Nostro cuore, poichè nulla è vano agli occhi di Dio, quando il vostro volere si conformi al volere di Colui, che ha sempre disegni di misericordia e di vita anche nel severo esercizio della giustizia, e soprattutto quando li impiegherete nelle opere della dolce carità, comprendendo le pene altrui, incoraggiando, confortando, aiutando i fratelli che soffrono con voi.

Preghiera dei carcerati

O Divino Prigioniero del santuario, che per amor nostro e per la nostra salvezza hai voluto non solo rinchiuderti negli stretti limiti della umana natura e nasconderti poi sotto i veli delle specie sacramentali, ma anche vivere continuamente nella cella dei tabernacoli, ascolta la nostra supplica, che giunge sino a te da dentro queste spranghe e questi muri, e brama di esprimerti tutto il nostro affetto, ma anche il nostro dolore e il vivo bisogno che sentiamo di te nelle nostre tribolazioni, e soprattutto nella privazione della libertà, che tanto ci affligge.

Forse ad alcuni di noi una voce dice nel fondo della coscienza che non siamo colpevoli, e soltanto un funesto errore giudiziario ci ha condotti in questo carcere; allora il nostro conforto sarà di ricordare che anche tu, la più augusta di tutte le vittime, fosti condannato innocentissimo.

O forse ci tocca invece di abbassare gli occhi, di occultare il rossore del volto e di batterci il petto; però anche allora non ci manca il rimedio di gettarci nelle tue braccia, sicuri che tu sai comprendere tutti gli errori, perdonare tutti i peccati e restituire generosamente la tua grazia a chi ritorna a te pentito.

E infine vi sono talvolta nella vita terrena tante ricadute nella colpa, che anche i migliori fra gli uomini finiscono col diffidare di noi, e noi stessi quasi non sappiamo donde cominciare il cammino nuovo della rigenerazione; però, nonostante tutto, nel più recondito dell’anima nostra sussurra una parola di fiducia e di conforto, la parola tua, che ci promette, se vogliamo tornare al bene, l’aiuto della tua luce e della tua grazia.

Fa, o Signore, che mai non dimentichiamo come il giorno della prova è la occasione più propizia per purificare gli spiriti, praticare le più alte virtù e acquistare i maggiori meriti; fa che nei nostri cuori dolenti non penetri il disgusto che tutto dissecca, la sfiducia che non lascia campo al sentimento della fraternità; il rancore che prepara il cammino ai cattivi consigli, e teniamo sempre presente che, nel toglierci la libertà del corpo, nessuno ha potuto privarci di quella dello spirito, che nelle lunghe ore della nostra solitudine può elevarsi fino a te per meglio conoscerti e amarti ogni giorno più.

Discorso ai giuristi cattolici circa l’aiuto ai carcerati (26 maggio 1957)
Radiomessaggio ai detenuti (30 dicembre 1951)
Preghiera dei carcerati (10 aprile 1958)