«Con fermezza e tenerezza»

Per la Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, patroni di Roma, nel 1941 Papa Pio XII registrava un radiomessaggio rivolto al mondo intero, alla soglia della guerra che avrebbe percorso l’Europa per ancora quattro anni. Ne pubblichiamo il testo integrale al ricorrere della medesima Solennità, convinti che le parole di incoraggiamento, tenerezza e speranza del Papa possano dire ancora tanto ai lettori di oggi, che se non conoscono direttamente l’orrore della guerra, vivono tuttavia crisi diverse, fonti di non diverse inquietudini.

Pope Pius XII   In questa solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, il vostro devoto pensiero e affetto, diletti figli della Chiesa cattolica universa, si rivolge a Roma con la strofa trionfale: «O Roma felix, quae duorum Principum – es consecrata glorioso sanguine! O Roma felice, che sei stata consacrata dal sangue glorioso di questi due Principi!». Ma la felicità di Roma, che è felicità di sangue e di fede, è pure la vostra; perché la fede di Roma, qui sigillata sulla destra e sulla sinistra sponda del Tevere col sangue dei Principi degli apostoli, è la fede che fu annunziata a voi, che si annunzia e si annunzierà nell’universo mondo. Voi esultate nel pensiero e nel saluto di Roma, perché sentite in voi il balzo della universale romanità della vostra fede.
Da diciannove secoli nel sangue glorioso del primo Vicario di Cristo e del Dottore delle Genti la Roma dei Cesari fu battezzata Roma di Cristo, a eterno segnale del principato indefettibile della sacra autorità e dell’infallibile magistero della fede della Chiesa; e in quel sangue si scrissero le prime pagine di una nuova magnifica storia delle sacre lotte e vittorie di Roma.

   Vi siete voi mai domandati quali dovevano essere i sentimenti e i timori del piccolo gruppo di cristiani sparsi nella grande città pagana, allorché, dopo aver frettolosamente sepolti i corpi dei due grandi martiri, l’uno al piede del Vaticano e l’altro sulla via Ostiense, si raccolsero i più nelle loro stanzette di schiavi o di poveri artigiani, alcuni nelle loro ricche dimore, e si sentirono soli e quasi orfani in quella scomparsa dei due sommi apostoli? Era il furore della tempesta poco prima scatenata sulla Chiesa nascente dalla crudeltà di Nerone; davanti ai loro occhi si levava ancora l’orribile visione delle torce umane fumanti a notte nei giardini cesarei e dei corpi lacerati palpitanti nei circhi e nelle vie. Parve allora che l’implacabile crudeltà avesse trionfato, colpendo e abbattendo le due colonne, la cui sola presenza sosteneva la fede e il coraggio del piccolo gruppo di cristiani. In quel tramonto di sangue, come i loro cuori dovevano provare la stretta del dolore al trovarsi senza il conforto e la compagnia di quelle due voci potenti, abbandonati alla ferocia di un Nerone e al formidabile braccio della grandezza imperiale romana!

   Ma contro il ferro e la forza materiale del tiranno e dei suoi ministri essi avevano ricevuto lo Spirito di forza e di amore, più gagliardo dei tormenti e della morte. E a Noi sembra di vedere, alla susseguente riunione, nel mezzo della comunità desolata, il vecchio Lino, colui che per primo era stato chiamato a sostituire Pietro scomparso, prendere fra le sue mani tremanti di emozione i fogli che conservavano preziosamente il testo della Lettera già inviata dall’apostolo ai fedeli dell’Asia Minore e rileggervi lentamente le frasi di benedizione, di fiducia e di conforto: «Benedetto Dio, Padre del Signore Nostro Gesù Cristo, il quale secondo la sua grande misericordia ci ha rigenerati a una viva speranza, mediante la risurrezione di Gesù Cristo… Allora voi esulterete, se per un poco adesso vi conviene di essere afflitti con varie tentazioni… Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio… gettando in Lui ogni vostra sollecitudine, poiché Egli ha cura di voi… Il Dio di ogni grazia, il quale ci ha chiamati all’eterna sua gloria in Cristo Gesù, con un po’ di patire vi perfezionerà, vi conforterà e vi renderà saldi. A Lui la gloria e l’impero per i secoli dei secoli!».

   Anche Noi, cari figli, che per un inscrutabile consiglio di Dio, abbiamo ricevuto, dopo Pietro, dopo Lino e cento altri santi pontefici, la missione di confermare e consolare i nostri fratelli in Gesù Cristo, Noi, come voi, sentiamo il nostro cuore stringersi al pensiero del turbine di mali, di sofferenze e di angosce, che imperversa oggi sul mondo.
Davanti a un tale cumulo di mali, di cimenti di virtù, di prove di ogni sorta, pare che la mente e il giudizio umano si smarriscano e si confondano, e forse nel cuore di più d’uno tra voi è sorto il terribile pensiero di dubbio, che per avventura già, dinanzi alla morte dei due apostoli, tentò o turbò alcuni cristiani meno fermi: Come può Dio permettere tutto questo? Come è possibile che un Dio onnipotente, infinitamente saggio e infinitamente buono, permetta tanti mali a Lui così facili a impedire? E sale alle labbra la parola di Pietro, ancora imperfetto, all’annunzio della passione: «Non sia mai vero, o Signore» (Mt 16, 22). No, mio Dio – essi pensano –, né la vostra sapienza, né la vostra bontà, né il vostro stesso onore possono lasciare che a tal segno il male e la violenza dominino nel mondo, si prendano giuoco di Voi, e trionfino del vostro silenzio. Dov’è la vostra potenza e provvidenza? Dovremo dunque dubitare o del vostro divino governo o del vostro amore per noi? «Tu non hai la sapienza di Dio, ma quella degli uomini», rispose Cristo a Pietro, come aveva fatto dire al popolo di Giuda dal profeta Isaia: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, e le vostre vie non sono le mie vie».

   Tutti gli uomini sono quasi fanciulli dinanzi a Dio, tutti, anche i più profondi pensatori e i più sperimentati condottieri dei popoli. Essi vorrebbero la giustizia immediata e si scandalizzano dinanzi alla potenza effimera dei nemici di Dio, alle sofferenze e alle umiliazioni dei buoni; ma il Padre celeste, che nel lume della sua eternità abbraccia, penetra e domina le vicende dei tempi, al pari della serena pace dei secoli senza fine, Dio, che è Trinità beata, piena di compassione per le debolezze, le ignoranze, le impazienze umane, ma che troppo ama gli uomini, perché le loro colpe valgano a stornarlo dalle vie della sua sapienza e del suo amore, continua e continuerà a far sorgere il suo sole sopra i buoni e i cattivi, a piovere sui giusti e sugli ingiusti, a guidare i loro passi di fanciulli con fermezza e tenerezza, solo che si lascino condurre da Lui e confidino nella potenza e nella saggezza del suo amore per loro. Che significa confidare in Dio? Aver fiducia in Dio significa abbandonarsi con tutta la forza della volontà sostenuta dalla grazia e dall’amore, nonostante tutti i dubbi suggeriti dalle contrarie apparenze, all’onnipotenza, alla sapienza, all’amore infinito di Dio. È credere che nulla in questo mondo sfugge alla sua Provvidenza, così nell’ordine universale, come nel particolare; che nulla di grande o di piccolo accade se non previsto, voluto o permesso, diretto sempre da Essa ai suoi alti fini, che in questo mondo sono sempre fini di amore per gli uomini.

   Per la fede che si è illanguidita nei cuori umani, per l’edonismo che informa e affascina la vita, gli uomini sono portati a giudicare come mali, e mali assoluti, tutte le sventure fisiche di questa terra. Hanno dimenticato che il dolore sta all’albore della vita umana come via ai sorrisi della culla; hanno dimenticato che il più delle volte esso è una proiezione della Croce del Calvario sul sentiero della risurrezione; hanno dimenticato che la croce è spesso un dono di Dio, dono necessario per offrire alla divina giustizia anche la nostra parte di espiazione; hanno dimenticato che il solo vero male è la colpa che offende Dio; hanno dimenticato ciò che dice l’Apostolo: «I patimenti del tempo presente non hanno proporzione con la futura gloria che si manifesterà in noi»; che dobbiamo mirare all’autore e consumatore della fede, Gesù, il quale, propostosi il gaudio, sostenne la croce. A Cristo crocifisso sul Golgota, virtù e sapienza che converte a sé l’universo, guardarono nelle immense tribolazioni della diffusione del Vangelo, vivendo confitti alla croce con Cristo, i due Principi degli apostoli, morendo Pietro crocifisso, Paolo curvando il capo sotto il ferro del carnefice, quali campioni, maestri e testimoni che nella croce è conforto e salvezza e che nell’amore di Cristo non si vive senza dolore. A questa croce, fulgente di via, di verità e di vita, guardarono i protomartiri romani e i primi cristiani nell’ora del dolore e della persecuzione. Guardate anche voi, o diletti figli, così nelle vostre sofferenze; e troverete la forza non solo di accettarle con rassegnazione, ma di amarle, ma di gloriarvene, come le amarono e se ne gloriarono gli apostoli e i santi, nostri padri e fratelli maggiori, che pure furono plasmati della medesima vostra carne e vestiti della stessa vostra sensibilità.

   Guardate le vostre sofferenze e gli affanni vostri attraverso i dolori del Crocifisso, attraverso i dolori della Vergine, la più innocente delle creature e la più partecipe della divina Passione, e saprete comprendere che la conformità all’immagine del Figlio di Dio, Re dei dolori, è la più augusta e sicura via del cielo e del trionfo. Non guardate solo le spine, onde il dolore vi affligge e vi fa soffrire, ma ancora il merito che dal vostro soffrire fiorisce come rosa di celeste corona; e troverete allora con la grazia di Dio il coraggio e la fortezza di quell’eroismo cristiano, che è sacrificio e insieme vittoria e pace superante ogni senso; eroismo, che la vostra fede ha il diritto di esigere da voi. «Finalmente [ripeteremo con le parole di san Pietro] siate tutti unanimi, compassionevoli, amanti dei fratelli, misericordiosi, modesti, umili: non rendendo male per male, né maledizione per maledizione, ma al contrario benedicendo…: affinché in tutto sia onorato Dio per Gesù Cristo: a cui è gloria e impero nei secoli dei secoli».

Qui il testo in spagnolo, sul sito della Santa Sede.