Ascendiamo anche noi con Lui!

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Alla vigilia della festa della Ascensione del Signore al cielo, nel suo vero corpo, proponiamo una meditazione tratta da un’omelia di Papa Pio XII, in cui il Pontefice invita ciascun fedele a seguire Cristo, gettando l’ancora nel proprio cuore in cielo, con atti di fede, di speranza e di carità.

Ascendiamo, diletti figli, anche noi con Cristo al cielo: disponiamo nel cuor nostro quelle ascensioni della fede che varca ogni nube, della speranza che sorpassa il tempo, dell’amore che conquista l’eternità. Nell’ora della sua ascensione Cristo diede agli Apostoli l’ultima lezione e l’ultimo comando. « Non appartiene a voi — Egli disse — sapere i tempi e i momenti, che il Padre ha ritenuti in poter suo»: ecco l’innalzamento della loro fede nella sommessione al governo di Dio sul mondo. « Riceverete la virtù dello Spirito Santo»: ecco l’innalzamento della loro speranza nel coraggio dell’operare. «Mi sarete testimoni … fino alle estremità della terra»: ecco l’innalzamento della loro carità con ogni sacrificio nella diffusione del Vangelo (Act. 1, 7-8). Son tre doni, tre virtù, tre ammonimenti, che hanno trionfato del mondo, hanno rigenerato e confortato l’uomo, hanno restaurato quaggiù il regno di Dio e aperto il regno dei cieli.

Eleviamo la nostra fede in quest’ora di uragano che rumoreggiando e imperversando travolge in lotta popoli e nazioni. Non spetta neppure a noi conoscere i tempi e i momenti che la potente mano del Padre nostro celeste regola, abbreviandoli o allungandoli con quel consiglio provvido e inscrutabile che ordina tutti gli eventi all’alto e segreto fine della sua gloria. Egli è il beato e unico Sovrano, Re dei re e Signore dei dominanti (1 Tim. 6, 15): non cambia in sé, ma governa e regge tutti i cambiamenti dei tempi e dei momenti con disegno immutabile, dando e togliendo la potenza a chi vuole, esaltando l’umile e abbassando il superbo, perché tutti gli uomini riconoscano che ogni potere viene da Lui, e che nessuna potestà avrebbero, se non l’avessero ricevuta dall’alto (cfr. Io. 19, 11). La nostra fede sormonta questo basso mondo; di questo mondo non è il regno di Cristo, se pur tiene il piede quaggiù: esso è dentro di noi. Cristo non era venuto a ristabilire, come chiedevano gli Apostoli, il regno d’Israele (cfr. Act. 1, 6), ma a testimoniare la verità che tanto ci sublima, la verità che è giustizia, che è pace, che è rispetto del diritto, che è libertà santa e inviolabile della coscienza umana, che è conforto anche in mezzo alle tribolazioni, ai dolori, ai lutti presenti; com’era conforto ai tempi e ai momenti dei martiri, com’è a voi, che della benigna provvidenza divina fate il fondamento che sostenta la vostra speranza.

Sì; la vostra speranza s’innalza nella virtù del Celeste Paraclito, sopravveniente in noi; speranza che non confonde, cui non oscura la nube, la quale vela al nostro sguardo Cristo che sale al cielo. Col crisma dello Spirito Santo il cristiano è soldato che resiste fino al sangue, combattendo contro il peccato; e, sull’esempio e la guida del suo Re Cristo, non si stanca, perdendosi d’animo; perché il nostro divin Capitano, pur asceso al cielo, è sempre con noi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli, e su questo altare si fa, nelle battaglie dell’anima, nostro cibo e nostra bevanda sotto la nube delle specie sacramentali. Presente e nascosto, combatte con noi; nei pericoli e nelle angustie, nelle tribolazioni e nelle pene, nei lutti e nelle morti sublima la nostra fiducia. Ardua, futura, ma, col nostro onnipotente Capitano che ci ha preceduti al cielo, possibile è ancora a noi la conquista del cielo, corona della nostra speranza. No, morendo in Cristo, noi non periremo. Se per questa vita solamente, gridava S. Paolo alle Genti, abbiamo riposto in Cristo le nostre speranze, siamo più miserabili di tutti gli uomini (1 Cor. 15, 19).

Non veniamo meno, diletti figli, alla fede e alla speranza. Anche sopra di noi è venuta la virtù dello Spirito divino, con lingue di luce e di fuoco, di quel fuoco della carità recato da Cristo in terra, perché si accenda e divampi nel mondo. Anche noi dobbiamo essere a Cristo testimoni fino alle estremità della terra, perché la fede di Roma è annunziata nell’universo mondo : la fede di Pietro e di Paolo, i due Principi degli Apostoli, fede che Ci par d’intravvedere in quei due personaggi in bianche vesti, i quali, all’ascensione di Cristo, si appressarono ai discepoli e dissero loro: « Uomini di Galilea, perché state mirando verso il cielo? Quel Gesù, il quale tolto a voi è stato assunto al cielo, verrà così come lo avete veduto andare al cielo» (Act. 1, 10-11). Non è questa la predicazione di Pietro e di Paolo? Non hanno essi annunziato al mondo e a Roma, e testimoniato col sangue che quel Gesù, che ora ci nasconde la nube della fede, è il Redentore del mondo, e vive alla destra del Padre, donde verrà a giudicare i vivi e i morti? Non è questo altare la confessione di Pietro che, davanti a noi e alle Genti, risponde a Gesù: « Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo. Signore, a chi andremo noi? Tu hai parole di vita eterna» (Matth. 16, 16; Io. 6, 69)? Confessate anche voi, diletti figli, Cristo; e il vostro amore per Lui sia la fiamma della carità verso il prossimo; la vostra lingua sia la vostra vita virtuosa; il vostro apostolato sia la luce di quell’azione religiosa e santa, intima e devota, che esalti e testimonii in faccia alle Genti la fede e la speranza di Roma.

Basilica Vaticana – Giovedì, 14 maggio 1942 – Omelia nella Messa per il XXV anniversario della Consacrazione episcopale; leggi tutta l’omelia.